Unione africana, la crisi climatica aggrava tensioni e terrorismo
Un continente assetato
Nota di Celine Camoin per la rivista "Africa"
Non c’è dubbio che il deterioramento delle condizioni climatiche, i deficit di precipitazioni e le successive siccità, contribuiscono ad esacerbare le tensioni sociali e intercomunitarie dovute alla contrazione delle risorse viventi, acqua e pascolo in particolare. Lo afferma il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, intervenuto a una sessione del Consiglio di sicurezza Onu dedicata alle questioni del cambiamento climatico e alla loro interazione con quelle della pace e della sicurezza, tema di una risoluzione presentata da Niger e Irlanda
“Da dove vengono le molteplici violenze tra pastori e agricoltori?” ha interrogato Faki, proprio mentre le autorità del suo Paese, il Ciad, hanno lanciato l’allarme per l’afflussi di profughi i fuga da violenze dal Camerun, dal Sudan, e dove i conflitti intercomunitari e fondiari sono ricorrenti. “L’accesso a fonti in continua diminuzione, o la loro distribuzione ineguale, a causa del cambiamento climatico, amplia i divari e le disuguaglianze che portano a tutte le strade dell’avventura e del terrorismo”, ha spiegato il presidente della Commissione Ua, aggiungendo che “la migrazione e le sue reti e reti criminali, la tratta di ogni tipo, la transumanza caotica e l’esodo rurale completano un quadro già piuttosto cupo”. Inoltre, l’esplosione demografica fa crescere in modo preoccupante l’eccessiva pressione sulle risorse naturali, ha aggiunto.
A titolo d’esempio, Moussa Faki ha citato la Nigeria, dove secondo lui “i conflitti tra pastori e agricoltori hanno ucciso, nella regione del Middle Belt, sei volte di più del conflitto con Boko Haram”.
La dipendenza dall’agricoltura e dall’allevamento getta nel solo Sahel più di 50 milioni di persone nella precarietà, rendendoli facili bersagli dei jihadisti e di tutte le altre forme di vettori violenti portatori di crisi, osserva Moussa Faki.
Questi fenomeni, ha proseguito nel suo discorso, “creano le condizioni favorevoli al fiorire di entità non statali, alla cui testa stanno i gruppi terroristici per influenzare, disorientare, indottrinare, intossicare, reclutare, armare e formare migliaia di giovani sui sentieri della morte e distruzione come via di salvezza e costruzione di destini chimerici e illusori”. Ed è proprio sul sentiero ideologico, sociale, economico ed esistenziale, “che si svolge il confronto reale tra gli sforzi statali nazionali e continentali con il terrorismo e altre forme di devianza”, stimolate anche da frustrazioni, malgoverno, corruzione, emarginazione, esclusione politica, sociale e comunitaria.
Guardando al modo in cui vengono affrontati la crisi climatica e la lotta all’insicurezza, Faki ha espresso la delusione dell’Africa nei confronti delle risposte della comunità internazionale. Mentre il contributo dell’Africa all’inquinamento globale è minimo, la sua quota di investimenti per rispondere agli effetti negativi del cambiamento climatico è congrua. “Allo stesso modo – ha proseguito – vediamo che l’Africa, nella sua lotta al terrorismo, continua a subire gli effetti perversi di una politica di due pesi, due misure. Mentre in altre sfere del mondo, in Medio Oriente in particolare, c’è grande mobilitazione internazionale per combattere, giustamente, il terrorismo, tale sforzo è quasi negato all’Africa”.