#299 - 15 gennaio 2022
AAAAAATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte di martedi 31 dicembre quando lascerà il posto al n° 359 - mercoledi 1° dicembre 2025 - CORDIALI AUGURI DI BUON ANNO e BUONA LETTURA - ORA PER TUTTI un po' di HUMOUR - E' da ubriachi che si affrontano le migliori conversazioni - Una mente come la tua à affascinante per il mio lavoro - sei psicologo? - No architetto, mi affascinano gli spazi vuoti. - Il mio carrozziere ha detto che fate bene ad usare WathsApp mentre guidate - Recenti studi hanno dimostrato che le donne che ingrassano vivono più a lungo degli uomini che glielo fanno notare - al principio era il nulla...poi qualcosa è andato storto - una volta ero gentile con tutti, poi sono guarito.
Cinema

Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro

Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Gail Russell

I dimenticati, 18. Gail Russell [Diari di Cineclub n°37 III 2016]

di

Virgilio Zanolla

Gail RussellGail Russell

Corpo snello e flessuoso, lunghi e ondulati capelli corvini, sguardo da cerbiatta, magnifico sorriso, viso d’angelo: Gail Russell disponeva di naturale fotogenia e sufficiente dose di talento per sfondare nel cinema, ma era un’anima delicata e psicologicamente fragile, che per riuscire a sopravvivere in un mondo spietato e competitivo come quello della settima arte finì per rovinarsi la salute.

Elizabeth Russell era nata il 21 settembre del 1924 a Chicago, figlia di George, un musicista, e della moglie Gladys Barnet. Nel 1938, quando Gail contava quattordici anni, la famiglia lasciò l’Illinois e si trasferì in California, dove il padre trovò impiego nella Loockheed Corporation e lei, sentendosi molto attratta dalla pittura, frequentò una scuola tecnica, dove per la sua bellezza venne subito definita ‘la Hedy Lamarr della Santa Monica High School’. Un giorno, facendo autostop assieme a un compagno di scuola, venne caricata da un dirigente della Paramount Pictures, William Meiklejohn, che colpito dalla sua fresca avvenenza le propose un contratto di studio e formazione per diventare attrice, con un salario iniziale di 50 dollari alla settimana e l’obbligo di seguire un corso di recitazione. Per Gail, che era timidissima, non fu una buona notizia: ma poiché in quel momento la sua famiglia, in pessime condizioni finanziarie, era ridotta a vendere i mobili di casa per pagare il mutuo dell’appartamento, spinta dalla madre finì per accettare. «Quando la Paramount m’offrì quel contratto, dormivo sui giornali nel pavimento del salotto di casa» confessò anni più tardi.

Gail RussellGail Russell

Esordì davanti alla macchina da presa nel ’43, e dopo un paio di piccoli ruoli in Henry Aldrich Gets Glamour di Jimmy Lydon e Le schiave della città (Lady in the Dark) di Mitchell Leisen fu promossa coprotagonista accanto a Ray Milland ne La casa sulla scogliera (The Uninvited, ’44) di Lewis Allen, un film fantastico dove interpretò con grande sensibilità Stella Meredith, la nipote dell’ex proprietario d’una casa, una ragazza dalla psiche turbata a causa del cupo passato della famiglia funestato da un delitto; il film, che Scorsese giudica tra i migliori di sempre nel genere terrore, ottenne grande successo e fece di lei una star. Come Stella, Gail aveva i nervi fragili: durante la lavorazione del film, la timidezza e il timore di non essere all’altezza che l’attanagliavano la spinsero a bere alcolici per darsi coraggio.

Ebbero esito favorevole anche le successive pellicole cui prese parte: come la commedia Our Hearts Were Young and Gay di Allen (’44), il drammatico La corsa della morte (Salty O’Rourke, ’45) di Raoul Walsh, a fianco di Alan Ladd, il western L’ultima conquista (Angel and the Badman, ’47) di James Edward Grant, che la vide per la prima volta accanto a John Wayne, Calcutta di John Farrow (’47) ancora con Alan Ladd, il noir La notte ha mille occhi (Night Has a Thousand Eyes) di Farrow con Edward G. Robinson, l’avventuroso La strega rossa (Wake of the Red Witch), di Edward Ludwig, di nuovo con John Wayne, La luna sorge (Moonrise) di Frank Borzag, tutti del ’48.

Gail RussellGail Russell

Nel frattempo, la sua paura di non figurare secondo le aspettative come attrice giunse al parossismo: tanto che nelle scene da girare in teatri di posa i registi avevano fatto appendere delle lenzuola dietro la macchina da presa, in modo che ella, scorgendo solo il personale tecnico strettamente qualificato, si sentisse meno a disagio.
Quest’insicurezza nelle sue prestazioni - immotivata, essendosi mostrata in più occasioni, e affrontando generi diversi, ottima interprete - la portò a rifugiarsi sempre più nell’alcool. L’anno seguente Gail sposò Guy Madison, un prestante attore californiano, molto apprezzato dal pubblico femminile, che l’aveva lungamente corteggiata. La prima tegola le cadde sul capo pochi mesi dopo, quando l’attrice messicana Esperanza Bauer, moglie di John Wayne, intentando domanda di divorzio dal marito accusò quest’ultimo d’essere amante della Russell, giacché egli s’era adoperato perché avesse il ruolo di protagonista femminile ne La strega rossa; Wayne però negò, ammettendo semplicemente d’essere suo buon amico.

In quel periodo, il ricorso di Gail agli alcolici giunse al punto che nel 1950 la Paramount non le rinnovò il contratto. L’attrice non ebbe difficoltà a lavorare con altre case di produzione, e ottenne ruoli da protagonista in film di prestigio come il drammatico Linciaggio (The Lawless, ’50) di Joseph Losey, e il bellico I moschettieri dell’aria (Air Cadet, ’51) di Joseph Pevney. Ma una multa per alcolismo le fece presto attorno terra bruciata, ed ebbe serie difficoltà a ottenere nuove parti; la sua stabilità coniugale ne venne minata: così nel ’54 lei e Madison divorziarono.

Gail RussellGail Russell

Sola e senza lavoro, per guarire dalla dipendenza dai liquori Gail si rivolse alla Alcolisti Anonimi. Nel ’56, mostrandosi davvero suo amico, Wayne le offrì la parte di coprotagonista a fianco di Randolph Scott e Lee Marvin nel bel western che stava producendo, I sette assassini (Seven Men from Now) di Budd Boetticher. Lo stesso anno, ella apparve pure in un episodio della serie tv Studio 57, e nel ’57 interpretò il film noir Il vestito strappato (The Tattered Dress) di Jack Arnold. Ma sebbene si fosse messa in cura, il richiamo della bottiglia fu per lei troppo forte: così, alle 4 del mattino del 6 luglio di quell’anno, guidando ebbra la sua decapottabile nuova infranse la vetrina d’un coffee shop sul Beverly Boulevard e ferì un guardiano notturno sessantaseienne. Arrestata e fotografata in manette accanto a un poliziotto, disse confusa: «Ho bevuto un paio di drink. No, forse quattro. Oh, non so più quanti. In ogni caso sono fatti miei».

Benché fosse ancora una bellissima donna, ottenere nuove parti le riuscì sempre più difficile. Lavorò ancora nel dramma sentimentale No place to Land di Albert C. Gannaway (’58) e in The Silent Call di John A. Bushelman (’61), incentrato su una famiglia d’emigrati; furono i suoi due ultimi film. Il 27 agosto 1961 venne trovata morta sul pavimento del suo piccolo appartamento a Brentwood, dove giorni prima s’era chiusa a disegnare, dipingere e bere, tra i suoi quadri e bottiglie di vodka ormai vuote. Aveva trentasei anni, undici mesi e sei giorni. A Hollywood, dove riposa nel Valhalla Memorial Park Cemetery, la ricorda una stella al 6933 della Walk of Fame.

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