#298 - 1 gennaio 2022
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Cinema

Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro

Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Ermanno Randi

I dimenticati, 15. - [Diari di Cineclub n°34, XII 2015]

Di

Virgilio Zanolla

Ermanno Randi

La storia di Ermanno Randi illustra a meraviglia non solo il cinema, ma la stessa società italiana degli anni del secondo dopoguerra.
Aretino, Ermanno era nato il 27 aprile 1920: il suo vero cognome era Rossi, ma egli, manifestando una prepotente vocazione per lo spettacolo, pensava evidentemente che con quel cognome (oggi peraltro in auge: basti ricordare i Paolo, Valentino, Vasco...) avrebbe fatto poca strada: perciò assunse quello d’arte di Randi.

Ermanno RandiErmanno Randi

Durante la guerra, arruolato in Aviazione nella sezione paracadutisti della Divisione Folgore, Ermanno aveva combattuto a Cassino al seguito dell’Ottava Armata; e di sua iniziativa, riunita una compagnia teatrale formata da militari di varia appartenenza, aveva raccolto con essa i primi successi di palcoscenico, proponendo abili adattamenti di riviste.
Deciso a intraprendere la carriera di attore, al termine del conflitto s’era trasferito a Roma iscrivendosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica.
Bruno e non alto, bel sorriso, folti capelli e sopracciglia marcate, pur essendo nato nella città di Petrarca e del Vasari egli aveva la tipica faccia dello scugnizzo napoletano: proprio una di quelle di cui il cinema del dopoguerra aveva costante appetito.
Esordì a livello professionale nella rivista, come ‘boy’, ovvero ballerino del corteggio della soubrette, che in questo caso, guarda un po’, si chiamava Anna Magnani. A Nannarella non sfuggirono le potenzialità espressive di Ermanno, che aveva, occorre dirlo, un piglio molto virile, un po’ come - fisicamente in versione ridotta - un Rock Hudson ‘de noantri’: e lo suggerì come attore per la compagnia di Nino Taranto. Era il 1946. L’anno dopo Ermanno compiva già un sensibile passo avanti in carriera esordendo sia nel teatro di prosa, ne Lo scambio di Paul Claudel, sia nel cinema, con una particina in un film celebre, Caccia tragica di Giuseppe De Santis.
Nel ’48 entrava addirittura nella compagnia diretta da Luchino Visconti, debuttando in un piccolo ruolo, il personaggio di Amiens in Rosalinda, o come vi piace di Shakespeare, il 26 novembre al Teatro Eliseo di Roma, in un cast prestigiosissimo che aveva tra gli interpreti Ruggero Ruggeri, Vittorio Gassman, Vivi Gioi, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Gabriele Ferzetti, Franco Interlenghi, Luciano Salce e Marcello Mastroianni.

Ermanno Randi

Dette buone prove di sé anche nelle successive apparizioni cinematografiche, modeste però spesso relative a opere di fama: come Riso amaro dello stesso De Santis, Anni difficili di Zampa e Le mura di Malapaga di René Clement.
Il film che segnò una svolta imponendolo finalmente all’attenzione per le sue qualità drammatiche fu I fuorilegge di Aldo Vergano, del ’49: nel quale, finalmente protagonista, interpretò il ruolo del fuorilegge Cosimo Barrese, esponente del Movimento per l’indipendenza della Sicilia: un personaggio chiaramente ricalcato sulla figura del bandito Salvatore Giuliano (proprio in quei giorni ucciso a tradimento dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta), dove ebbe come contraltare nella parte del sindaco corrotto e rivale in amore nientemeno che Gassman.

Ermanno Randi

Da allora, la sua carriera filò col vento in poppa: ebbe infatti parti da protagonista in una serie di pellicole, dove il suo aspetto fisico e il carattere marcato e passionale risaltavano al meglio: in Vespro siciliano di Giorgio Pàstina (’50) fu Ruggero, il fidanzato di Laura (Marina Berti), in Turri il bandito di Enzo Trapani (’50) tornò in una sanguigna vicenda rusticana, e in Lebbra bianca anche questo di Trapani (’51), lavorò accanto a Nazzari e, tra gli altri, a una giovanissima Sophia Loren, impersonando Stefano Ferrari, un giovane che si trova a combattere dei trafficanti di cocaina. Il film che fece di lui un vero divo fu Enrico Caruso, leggenda di una voce di Giacomo Gentilomo (’51): biografia romanzata del grande tenore napoletano dove fu a fianco di Gina Lollobrigida, doppiato nella voce dal grande Mario Del Monaco.
Richiestissimo, Ermanno si rituffò subito nel lavoro, interpretando l’uno via l’altro ben cinque film: l’ultimo dei quali, in autunno, fu Trieste mia di Mario Costa, nella quale impersonò Alberto, un partigiano triestino ucciso dalle milizie slave. Avendo orrore delle armi, si raccomandò costantemente col tecnico balistico affinché verificasse che fucili e pistole adoperati fossero caricati a salve. L’ultima scena del film, quella finale, in cui lui cade colpito a morte, fu girata a Fiumicino il 31 ottobre: e il regista, insoddisfatto, la fece replicare più volte, fino a tardissima sera.

Ermanno RandiErmanno Randi

Nell’Urbe Ermanno non viveva solo: fin da quando lavorava nella compagnia di Visconti era ospite di Giuseppe Maggiore, ventinovenne commerciante di vini di Bagheria appassionato di cinema e teatro, nel suo alloggio in via Apulia 2, nel quartiere Appio Metronio: un appartamentino con quattro stanze e un corridoio. Il loro rapporto d’amicizia s’era prestissimo fatto carnale: e da un po’ di tempo Ermanno avvertiva il peso di quella relazione, oltreché scandalosa, molto impegnativa: perché col successo nel cinema il suo convivente s’era fatto oltremodo geloso, temendo la concorrenza delle tante belle attrici con le quali lui lavorava, ultima della serie Milly Vitale.
Quella sera, il Maggiore lo attese a casa per ore, trepidante, mentre imperversava un furiosissimo temporale: e quando alle prime luci dell’alba, stanchissimo e ancora col cerone in faccia, Ermanno giunse, mentre in canottiera si trovava in bagno gli fece una tremenda scenata di gelosia, minacciando di ucciderlo se lui l’avesse lasciato; quindi impugnò una pistola Beretta 7.65 che aveva con sé. Intuendo la sua determinazione, Ermanno s’affacciò alla finestra di quel vano gridando aiuto, e tentò di fuggire. Maggiore gli esplose contro cinque colpi, e l’ultimo del caricatore lo riservò a sé. Tre pallottole raggiunsero Ermanno ormai sulla porta delle scale, ferendolo al ventre e perforandogli i polmoni: egli s’accasciò al suolo. Maggiore, feritosi in modo non grave, sceso in strada fu disarmato da un vigile; quando giunse la polizia continuò a chiedere notizie dell’amante, che in un lago di sangue era stato condotto all’ospedale San Giovanni da un giovane operaio. Durante il tragitto, estremo vezzo e preoccupazione professionale, Ermanno domandò se il suo volto risultasse sfregiato; sottoposto d’urgenza a intervento chirurgico, si spense alle 9.30, dopo aver ricevuto l’estrema unzione.
L’assassino aveva premeditato il suo gesto: infatti gli vennero trovate addosso tre lettere, una diretta alla sua vittima, una al Questore di Roma e l’altra al padre di Randi. Guarito in quindici giorni, il Maggiore venne condannato per infermità mentale, e scontò la pena al manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Quando uscì era ormai anziano: tornato a Bagheria, trascorse i suoi ultimi anni come un clochard, dipingendo quadri con visioni allucinate che firmava Ippus Maior.

Ermanno Randi

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