Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
Una iniziativa dei "Diari di Cineclub"
I dimenticati - 2.
Memmo Carotenuto
Di Virgilio Zanolla
Lettore mio, se volessi lamentarti non potrei certo darti torto, perché non ci piove: grazie al talento comico e drammatico, alla maschera di rude di buon cuore dalla singolare voce roca e dall’arguzia bonacciona e tutta capitolina, Memmo Carotenuto - il personaggio che presento oggi - è noto, per dirla col Manzoni, «dall’Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno». Noto, sì: ma l’uomo e l’attore quanto sono davvero conosciuti? Ecco dunque che la mia proposta di un suo profilo biografico e professionale, risulta tutt’altro che provocatoria, meno gratuita di quanto potrebbe sembrare.
Cominciamo col dire che il vero nome di
Memmo era Guglielmo. Figlio d’arte, era nato
a Roma il 23 agosto del 1908, da Raffaele detto
Nello (1876-1937), attore di una compagnia
dialettale romanesca, e da Corinna Santarnecchi. Otto anni dopo di lui, da un altro legame Nello ebbe un secondo figlio, Mario (1916-
95), anch’egli destinato a raggiungere la fama
nel cinema quale egregio caratterista.
Proprio
quando Mario vedeva la luce, Memmo esordiva accanto al padre sulle tavole del palcoscenico, nella compagnia Bacci-Gambini: molto legato al genitore, egli pareva avviato a ricalcarne
i passi nell’àmbito del teatro in vernacolo. Nel
1925, dopo avere ottenuto il diploma in ragioneria, entrò nell’Achille Maresca 2, una compagnia di rivista destinata a grande successo
nella seconda metà di quel decennio, grazie
alle presenze prima di Macario eppoi di Totò.
Tuttavia, Memmo vi restò poco, perché presto
passò al Teatro Futurista di Filippo Tommaso
Marinetti: un’altra esperienza piuttosto breve
ma significativa, dove apprese tra l’altro l’importanza della pantomima.
Fin dai primi decenni del muto, Nello Carotenuto era attivo anche nel cinema: il suo discreto curriculum nel mondo della settima arte, che lo vide attivo anche nel ruolo di Fantomas,
ebbe il sigillo nel 1934 con l’unico film sonoro,
1860 di Alessandro Blasetti.
Anche Memmo si sentì attratto dal grande schermo, tanto che a partire dal ’33 lasciò il teatro per lavorare esclusivamente sul set: ma per lunga pezza lo fece quasi solo come tecnico del trucco, proprio grazie all’esperienza acquisita in tanti anni di palcoscenico. Le sue prime apparizioni davanti alla macchina da presa avvennero nel ’35, in due lungometraggi: Vecchia guardia di Alessandro Blasetti e Lorenzino de’ Medici di Guido Brignone; nel primo, ambientato nel 1922 e chiara esaltazione del fascismo squadrista (non a caso fu molto apprezzato da Hitler), impersonò un infermiere in sciopero; il film vide l’esordio anche di altri futuri interpreti di livello, come Andrea Checchi. Per tornare davanti al set Memmo dové attendere ben sei anni: in Tosca (1941) di Jean Renoir e Carl Koch, vestì il ruolo del parrucchiere della regina; il film, interpretato da Imperio Argentina, Rossano Brazzi e Michel Simon, ebbe una gestazione assai lunga, soprattutto a causa dei numerosi cambi di programma, alcuni dovuti allo scoppio della guerra, che costrinse Renoir a ritornare in patria, dov’era stato richiamato nell’esercito. Nel frattempo, si era sposato ed era diventato padre di due figli, Nennella e Bruno.
Nell’autunno ’43, quando con la caduta del fascismo, per proseguire l’attività alcune maestranze del cinema italiano si trasferirono negli studi veneziani della Giudecca, Memmo
fece altrettanto, aderendo di fatto alla Repubblica di Salò. Durante quel periodo riapparve
davanti alla macchina da presa nella parte di
Riccardino nel melodrammatico Senza famiglia di Giorgio Ferroni, che venne distribuito
solo a guerra finita, nel ’46.
Prese poi parte, come attore, a Il Passatore di
Duilio Coletti (’47). L’anno successivo, Vittorio
De Sica gli dette il brevissimo ruolo di un uomo della folla nel suo primo capolavoro, Ladri
di biciclette. Nel ’49 fu il pistolero sudista nella
commedia Adamo ed Eva di Mario Mattòli, interpretata da Macario e Isa Barzizza.
Per
Memmo, l’anno della svolta nel cinema fu il
1952, quando apparve in tre film: fu Raimondo
nel melodrammatico Prigioniera della torre di
fuoco di Giorgio Chili, un detenuto nel dramma poliziesco-sentimentale Processo contro
ignoti di Guido Brignone, e un ammalato ricoverato in ospedale in Umberto D. di De Sica;
proprio quest’ultimo ruolo costituì il trampolino di lancio della sua carriera d’attore: scegliendolo quale compagno di stanza del protagonista, un finto bacchettone lesto a recitare
ad alta voce il rosario per ingraziarsi le suore
che distribuivano il cibo, De Sica aveva visto
giusto.
Da allora, Memmo ottenne ruoli sempre più articolati, molto anche in grazia della
sua voce dal timbro inconfondibile, di straordinaria fonogenia a dispetto delle sue caratteristiche poco ortodosse.
La sua carriera proseguì spedita, e il ’53 lo vide
partecipare a sette film, ritagliando personaggi memorabili come il carabiniere Sirio Baiocchi di Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini (che avrebbe replicato l’anno seguente nel
sequel Pane, amore e gelosia dello stesso regista,
e nel ’58 in Tuppe tuppe, marescià! di Carlo Ludovico Bragaglia, dove Baiocchi è ormai promosso brigadiere), il vanesio e scansafatiche
impiegato Bertuscelli, collega di lavoro di Arduino (Peppino De Filippo) de Lo scocciatore di
Bianchi, il ladro Venturini di Stazione Termini
di De Sica.
Ben otto le pellicole nelle quali apparve nel ’54, con parti brevi ma incisive come
l’azzimato maggiordomo Battista de I tre ladri
di Lionello De Felice e il Cesare di Peccato che
sia una canaglia di Blasetti. Nel ’55 furono sette, e tra esse spiccano i personaggi del comandante Panaccione ne Le vacanze del sor Clemente di Camillo Mastrocinque, di Vannuccio in
Piccola posta di Steno, del Ciuffo ne La ladra di
Mario Bonnard, di Nando in Bella non piangere
di David Carbonari, una biografia romanzata
di Enrico Toti in un film (per lui) insolitamente drammatico.
Il suo successo cresceva, e con esso la popolarità: le migliori attestazioni dell’uno e dell’altra gli vennero proprio dal costante aumento
delle sue partecipazioni cinematografiche:
undici film nel ’56, quattordici nel ’57, quattordici nel ’58... Nel ’56, che fu forse il suo anno di
maggior esito, per il personaggio dell’umanissimo ex galeotto Quirino Proietti ne Il bigamo
di Luciano Emmer Memmo fu premiato col
Nastro d’Argento quale migliore attore non
protagonista: Quirino, compagno di cella di
Mario De Santis (Marcello Mastroianni), in
carcere per bigamia, è l’unico a credere alla
sua innocenza sospettando un’omonimia, e a
rintracciare il vero responsabile, scagionando
così l’amico.
Lavorando con Totò e Peppino,
Memmo interpretò Fernando ne La banda degli onesti e Ignazio ‘il Torchio’ in Totò, Peppino e
i fuorilegge, film diretti entrambi da Mastrocinque. Grandi apprezzamenti ottenne inoltre per la figura del sanguigno tranviere Alvaro in Poveri ma belli di Dino Risi, compagno di stanza di Salvatore (Renato Salvatori), personaggio che fu presente con eguale successo
anche nei sequel Belle ma povere e Poveri milionari, diretti dallo stesso Risi rispettivamente
l’anno dopo e nel ’59; in Poveri ma belli fu presente anche suo fratello Mario Carotenuto.
Con l’altro protagonista del film, Maurizio
Arena, quell’anno Memmo lavorò anche in
Tempo di villeggiatura di Antonio Racippi, disegnando la simpatica figura del capo cameriere Alfredo. Ciliegina sulla torta di quel periodo straordinariamente favorevole, la figura di
Crepereio nella commedia Mio figlio Nerone di
Steno, dov’egli divise il set con Alberto Sordi,
Vittorio De Sica, Gloria Swanson e Brigitte
Bardot.
Nel ’57 Memmo tornò a lavorare con Mario in
Susanna tutta panna di Steno, con Marisa Allasio e Nino Manfredi, dove vestì i panni di
Scorcelletti figlio; nel drammatico Solo Dio mi
fermerà di Renato Polselli (biografia del sacerdote don Salvatore d’Angelo, fondatore a
Maddaloni del Villaggio dei Ragazzi), nel quale interpretava un maresciallo dei carabinieri,
ebbe con sé il figlio Bruno, che in quella circostanza esordiva come attore davanti alla macchina da presa, e nel musicarello A vent’anni è
sempre festa di Vittorio Duse, in cui impersonava il direttore di una scuola agraria, ebbe
accanto sua figlia Nennella. In Padri e figli di
Monicelli fu il guardiano dello zoo Amerigo
Santarelli, marito di Ines (Marisa Merlini) e
padre di cinque figli, oberato dai problemi
economici ma capofamiglia felice.
In Mariti in
città di Comencini, fu il commerciante di mobili e bigiotteria Ferdinando Felicetti, timoroso che la moglie in vacanza lo tradisca, ma
sensibile al fascino di una bella cliente sposata. In Gente felice di Mino Loy interpretò don
Luigi, il parroco della frazioncina di Cerchiano. Un altro personaggio memorabile a cui
dette vita fu, nel ’58, il Cosimo de I soliti ignoti
di Mario Monicelli, un galeotto che commette
l’imprudenza di svelare al suo collega di detenzione Peppe er Pantera (Vittorio Gassman) il piano per scassinare la cassaforte del
Banco dei Pegni, e che tradito da questi, dopo
aver tentato di anticipare il colpo con un’iniziativa individuale finita in modo tragicomico, morirà investito da un tram. Per questa
parte, egli fu candidato a un secondo Nastro
d’Argento quale miglior attore non protagonista.
Nel ’59, nel ’60 e nel ’61 Memmo ebbe di nuovo
occasione di lavorare sul set accanto a Mario:
prima ne Le sorprese dell’amore di Comencini,
poi - stavolta entrambi da protagonisti - ne I
piaceri dello scapolo di Giulio Petroni e in Mariti
in pericolo di Mauro Morassi; negli ultimi due,
conservando nelle rispettive parti i veri nomi
di battesimo. A recitare con loro in entrambi i
casi, la ‘tentatrice’ Sylva Koscina, e nel primo
Gina Rovere, Graziella Granata, Marisa Merlini, Andrea Checchi, nel secondo Franca Valeri, Pupella Maggio, Dolores Palumbo e Pietro
De Vico.
La sua carriera procedé con successo per tutti gli
anni Sessanta, sebbene registrando un discreto
rallentamento. Egli apparve pure in televisione, pigliando parte con Carlo Romano a una
serie di sketch di “Carosello” che pubblicizzavano l’idrolitina Gazzoni. Negli anni Settanta
partecipò a otto film, l’ultimo dei quali - Un
amore in prima classe di Salvatore Samperi
(’80), dove interpretò un vecchio ferroviere
cieco - uscì pochi mesi prima della sua morte.
In quarantacinque anni di attività Memmo lavorò in 111 pellicole, passando dalla retorica fascista (Vecchia guardia di Blasetti, ’35) al neorealismo (Ladri di biciclette e Umberto D. di De Sica, ’48 e ’52), al neorealismo rosa (Pane, amore e fantasia di Comencini, ’53; Poveri ma belli di Risi, ’56; Susanna tutta panna di Steno, ’57), ai musicarelli (A vent’anni è sempre festa di Duse, ’57; Cantando sotto le stelle di Marino Girolami, ’56; Non cantare... baciami! di Giorgio Simonelli, ’57; Canzoni a tempo di twist di Stefano Canzio, ’62), alla commedia all’italiana (I soliti ignoti di Monicelli, ’58; Gli onorevoli di Sergio Corbucci, ’63), alle parodie di altri film (La Pica sul Pacifico di Roberto Bianchi Montero, ’59; Rocco e le sorelle di Giorgio Simonelli, ’61; Il giorno più corto di Corbucci, ’62; Divorzio alla siciliana di Enzo Di Gianni, ’63), e perfino agli spaghetti-western (Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno di Giuliano Carnimeo, ’74), apparendo anche in produzioni straniere o internazionali (Psicanalista per signora di Jean Boyer, ’59; Fernandel, scopa e pennel di Maurice Cloche, ’61; ...poi ti sposerò di Philippe De Broca, ’64; Die Hochzeitsreise di Ralf Gregan, ’69), e vestendo di volta in volta con successo i panni di ladro, falsario, ex galeotto, forzato, maresciallo, brigadiere, sergente maggiore, capitano, nostromo, commendatore, impiegato, parroco, barone, maggiordomo, capo cameriere, vigile urbano, tassista, benzinaio, portalettere, tramviere, ferroviere, stuccatore, operaio ascensorista, impresario teatrale, allenatore di calcio, guardiano dello zoo, reclutatore di comparse, direttore di una scuola agraria, direttore di un’agenzia immobiliare, e molt’altri ancora.
Memmo Carotenuto è morto a Roma il 23 dicembre 1980, colpito da infarto, all’età di settantadue anni e quattro mesi. La sua salma riposa nel Cimitero Flaminio, accanto a quella della moglie. Dei suoi due figli, se Nennella lasciò il cinema dopo A vent’anni è sempre festa per sposare in quello stesso ’57 l’attore Luciano Marin, dopo Solo Dio mi fermerà Bruno ha intrapreso con discreto successo la carriera d’attore, recitando col padre in altri quattro film e apparendo in opere significative come Estate violenta di Valerio Zurlini (’59), La legge di Jules Dassin (id.), Madame Sans-Gêne di Christian-Jacque (’61) e Per un pugno di dollari di Sergio Leone (’64).