Un reportage fotografico nell'inferno dei campi profughi
Appena a 16 miglia
dalle sponde dell'Europa
Lesbo, Vite Sospese
Uso sociale della fotografia
di Marcello Carrozzo
Da Bodrum, estremo lembo della Turchia non occorre il cannocchiale per vedere Skala Sikamineas, sull’isola di Lesbo, terra di frontiera Europea.
Appena sedici miglia, una traversata che é poco più di una passeggiata . É così che l’Europa appare agli occhi di chi scappa dalla guerra . In piccoli gruppi acquistano da commercianti senza scrupoli gommoni con motori inaffidabili. E giubbotti salvagente fatiscenti venduti a peso d’oro. La meta è davvero vicina , indietro non si torna!
Ma quel tratto di mare é attraversato da correnti fortissime difficili da navigare. La morte è in agguato. Migliaia di vittime. Solo nel 2016 1.400 morti. Una strage continua.
I fortunati che riescono a raggiungere la costa vengono soccorsi dai volontari delle Organizzazioni Umanitarie.
Ma Lesbo è una trappola , il centro di identificazione di Kara Tepe Camp é al collasso. I più fortunati attendono 6-7 mesi prima di ottenere un visto provvisorio che permette loro di lasciare l’isola a proprie spese.
Oggi le condizioni in cui sono costretti a vivere quasi 8 mila uomini, donne e bambini intrappolati nel nuovo campo profughi temporaneo di Lesbo, sono ancora peggiori di quelle di cui erano vittime nell’inferno del campo di Moria e Kara Tepe Camp.
Gli sbarchi continuano. Senza sosta .