#285 - 8 maggio 2021
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà  in rete fino alla mezzanotte del giorno sabato 30 novembre quando lascerà  il posto al numero 358 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè" (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) «La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti». Papa Francesco «Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo». Alberto degli Entusiasti "Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità , vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

Un destino di tredici anni

di Ruggero Scarponi

Il professor Landi prendeva la metropolitana, per raggiungere la scuola media, dove insegnava lettere, Storia e Geografia e durante il tragitto nella sotterranea leggeva sempre dei libri, persino, se, non trovando da sedersi, era costretto a restare in piedi, con una mano saldamente aggrappata a un sostegno e con l’altra a reggere il volume.
In realtà il Professor Landi non era particolarmente interessato alla lettura, questa gli serviva, quasi esclusivamente, per dissimulare un’altra attività che lo avvinceva molto di più.
Il Professor Landi era attirato dalle bambine. E le sue preferite erano quelle di un’età compresa tra gli undici e i tredici anni.
Tuttavia, non pensi il lettore di giudicare troppo repentinamente il maturo signore (il Professor Landi aveva cinquant’anni), dal momento che questi stava bene attento a non fare passi falsi. E non per il timore di essere sorpreso in qualcosa di illecito, quanto per il timore di turbare le giovanette, con il suo interesse.
Aveva per le bambine un’autentica predilezione. Le sognava di notte e ad occhi aperti ma mai si sarebbe spinto ad offenderne l’innocenza con qualche disdicevole molestia. Anzi, all’esterno, risaltava la sua paterna benevolenza.
E comunque, potendo, evitava scrupolosamente ogni contatto e stava sempre bene attento a non indugiare con lo sguardo più che se fosse necessario.
Il Professor Landi era consapevole della sua debolezza e da tempo aveva smesso di mentire a sé stesso.
La sua era una lotta quotidiana: ragione contro pulsioni istintive.
Finora la ragione, pur con grande sofferenza, era sempre riuscita a domare la bestia che lo agitava in fondo all’anima.
Ma proprio dalla sofferenza si sentiva assolto.
Della sua perversione, infatti, non si sentiva colpevole, quello era un istinto irrazionale che non poteva controllare. Per contro, invece, mantenersi retto ed onesto era il suo dovere.
Anche il lavoro che si era scelto, d’insegnante e che lo metteva continuamente in una condizione di prossimità con le giovanette che tanto lo turbavano era una specie di contrappasso in cui mortificare i suoi segreti pensieri.
Ma di lì a poco il destino, un destino di tredici anni, avrebbe cambiato la sua vita, per sempre.
Valentina, si chiamava questo destino, una bambina di tredici anni che frequentava la scuola media.
Il Professor Landi l’aveva adocchiata subito, all’inizio dell’anno scolastico, pur non essendo una sua allieva.
Corrispondeva così bene al suo modello ideale che a volte era assalito dal dubbio che non fosse neanche vera ma un parto della sua contorta fantasia.
Il momento migliore per scrutarla, senza dare nell’occhio, era durante la ricreazione, quando gli studenti sciamavano nel grande cortile della scuola, per prendere un po’ di svago.
Durante quei trenta, deliziosi minuti, il Professore si recava su un terrazzino al secondo piano dell’edificio scolastico con la scusa di fumare un sigaro.
Da lassù, in realtà, poteva godere una visione senza intralci, fingendo di perdersi nei pensieri e nei ricordi tra spesse nuvole di fumo.
Il Professor Landi si struggeva per Valentina. Fin quasi a star male. Diceva a sé stesso, in quei momenti, che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa. Per una sua parola (di più non arrischiava a pensare) avrebbe compiuto persino qualche mala azione. Per una sua parola. Tale, da scatenare nel suo intimo, un turbinio di emozioni, come un adolescente, al primo amore.
A volte, però, il Professore cedeva alla depressione. Si considerava ingiustamente bersagliato dalla sorte che anziché spingerlo a bramare le giovani donne adulte, lo aveva rinchiuso in quella specie di gabbia infantile, nella quale si tormentava, senza speranza di dar sfogo alle sue passioni.
Perché su questo punto il Professore era risoluto. Poteva spasimare per una bambina ma in silenzio e nel buio più profondo della propria anima.
Ed era talmente rigoroso nel proposito, di certo assai nobile, di non dare scandalo alla sua prediletta che ogni sera, durante il viaggio in metropolitana, si sottoponeva a un severo esame di coscienza, per esser sicuro di non aver nulla da rimproverarsi.
Ma Valentina era lì, ogni giorno, a recargli gioia e sofferenza che lui accettava supinamente, senza nulla tentare, perché era consapevole che, per lui, non sarebbe mai stata, null’altro che un sogno.
Nel tempo, però, tutto il suo apparato difensivo cominciò a sgretolarsi. Sentiva di essere logorato, da questa condizione di passività, tanto da avvertire i sintomi di una stanchezza nervosa che si rifletteva nel sonno, nell’appetito e nel disinteresse per le attività quotidiane.
Restare lucido gli costava fatica e mantenere le normali relazioni sociali lo stancava mortalmente.
I discorsi dei colleghi, le interminabili sedute dei consigli dei professori, erano divenuti per lui una vera tortura.
A poco a poco la sua mente stava perdendo interesse per tutto ciò che non fosse la piccola allieva.
Ne era talmente distratto che oramai gli era diventato impossibile concentrarsi nella lettura di un libro per più di qualche pagina, dovendo continuamente tornare a lei, con il pensiero. E la sua scrivania si riempiva, giorno dopo giorno, di libri iniziati e mai finiti.
Ma persino i compiti in classe dei suoi studenti gli erano divenuti tediosi e spesso li trascurava assegnando voti senza il necessario discernimento.
Una vera ossessione, da cui non trovava una via d’uscita.
Eppure, nessuno si era mai accorto dei suoi tormenti.
Tormenti innocenti, dal momento che il Professore, non avrebbe mai indugiato su pensieri, che non fossero men che casti. Egli ambiva alla pura e semplice contemplazione. Le bambine costituivano per il povero Professore un puro orizzonte, un cielo notturno, punteggiato di luccicanti stelline.
Ma quel non so che, che provava nello stomaco appena aveva modo di scorgere la sua prediletta era qualcosa cui non riusciva a rinunciare ma di cui percepiva la pericolosità.
C’era qualcosa di malsano in lui, pensava, seppure, nulla gli si sarebbe potuto rimproverare.
C’era forse qualcosa di male nel contemplare una bella bambina?
Desiderare di contemplare qualcosa di bello può essere illecito?
In taluni casi, sì, affermava, come ad esempio per le immagini di donne bellissime e discinte, fotografate per eccitare i desideri maschili.
Ma nel caso di Valentina, il Professore, mai si sarebbe lasciato sfiorare dal pensiero di indicibili visioni.
E allora perché si sentiva colpevole?
Forse che cercarla, scrutarla, era già un peccato?
Si sentiva come un ladro, uno che rubi un’immagine, per serbarla segretamente in sé stesso.
Durante tutto quel periodo in cui la mente del Professore restò sconvolta ci furono vari tentativi da parte sua di acquisire, in modo lecito, qualcosa che gli ricordasse la sua prediletta, quando non gli era possibile vederla. Un oggetto, o qualsiasi cosa che appartenuti alla fanciulla potessero evocare nella sua mente l’amata figuretta.
Una cosa che l’avrebbe reso felice, per esempio, sarebbe stato un suo fazzolettino profumato, di quel profumo che aveva potuto odorare in qualche rara occasione in cui Valentina gli era passata accanto.
Aveva notato, infatti, il Professore che la piccola utilizzava fazzolettini ricamati e presumibilmente profumati. Una ricercatezza, uno snobismo quasi, in un mondo in cui le sue coetanee non usavano più tali accessori ritenuti, superati.
Ma rubare un oggetto alla sua adorata…era impensabile! Niente e nulla, per quanto lo concerneva, avrebbe intentato contro di lei.
Unica possibilità restava quella di una coincidenza fortuita.
E tale coincidenza si verificò nel modo più clamoroso ed imprevisto.
Un giorno, infatti, il Professore, si trovò a sostituire un collega, assente per malattia.
Una normale supplenza come accadeva alle volte durante l’anno scolastico. E tuttavia sul finire della lezione un allievo gli segnalò che qualcuno aveva dimenticato, sotto un banco, la sacca con la tenuta per la ginnastica.
Il povero Professore impallidì quando scorse il nome sulla borsa.
Era di Valentina.
Fece uno sforzo, per prendere dal ragazzo la sacca, affettando indifferenza e la mise accanto alla cattedra.
Più tardi, durante la ricreazione, l’avrebbe consegnata in segreteria, dove avrebbero saputo come sbrigare la faccenda.
Ma un maligno pensiero gli attraversò la mente.
Pensò, infatti, di trattenere un poco, presso di sé, la sacca.
E subito dopo fu preso da un’ansia, una frenesia che gli fece percepire come un impiccio irritante quell’ora di lezione.
Poi, finalmente suonò la campanella e gli studenti lasciarono l’aula, per scendere nella palestra.
Il Professore, invece, restò da solo nell’aula deserta, dove avrebbe avuto a disposizione, tutta per sé, la preziosa sacca.
Lo pervase un senso d’infantile felicità.
Pregustò di aprirla, ad occhi chiusi, lasciando che le mani tremanti, ne esplorassero il contenuto.
Ed era già perso nel sogno che s’arrestò sgomento, turbato, al punto da provare una sensazione di nausea, di schifo, che lo fece esitare.
Cosa stava facendo?
Come poteva soltanto pensare di profanare l’intimità di una bambina?
Adesso era certo che se avesse ceduto alla tentazione si sarebbe trasformato nella bestia schifosa che da tempo non aspettava altro.
Era necessario riconquistare il controllo e così con uno sforzo sovrumano prese la sacca di Valentina e si diresse in Segreteria.
Un’allieva l’ha dimenticata in classe, disse con voce neutra.
Dia qua, rispose l’impiegato, ci pensiamo noi.
Sentiva di aver agito per il meglio anche se aveva dovuto rinunciare al segreto piacere di accarezzare qualcosa che apparteneva a lei.
Subito dopo, però, si meravigliò di come fosse possibile che una buona azione lo lasciasse così scontento, insoddisfatto.
Nei giorni seguenti ripensò spesso a quanto era avvenuto e più passava il tempo, più si rimproverava per aver sciupato un’occasione che gli avrebbe arrecato un poco di felicità, nella sua vita, peraltro scialba.
Questo pensiero lo perseguitò facendo montare dentro di lui una rabbia muta. Stavolta non riusciva proprio ad assolversi. L’aver scelto di fare il bene gli sembrò un’imperdonabile debolezza e infine una sciocchezza infantile.
Si ripeteva continuamente che non ci sarebbe stato nulla di male nell’accarezzare segretamente qualche indumento. E di come ne avrebbe goduto. Era senza dubbio in collera con sé stesso, tanto che non si accorse nemmeno che da alcuni giorni Valentina, era assente da scuola.
Lo scoprì un mattino, quando, come suo solito, andò a fumare sul terrazzino, al secondo piano dell’edificio scolastico.
Per quanto cercasse, di Valentina, non scorse nemmeno l’ombra.
E così fu per le settimane che seguirono.
Questa situazione lo indispose ancor più, immaginando che la piccola fosse partita assieme alla sua famiglia, per trasferirsi in un’altra città.
In tal caso, aver consegnato in segreteria la sacca, omettendo di esplorarne il contenuto, gli sembrò la perdita di un’occasione irripetibile.
Divenne ombroso, scontroso, finché un giorno, durante uno di quei tediosi consigli in sala professori, il preside della scuola annunciò che la piccola Valentina era morta, a causa di una terribile malattia.
Dopo aver comunicato la data dei funerali, il Preside propose l’affissione di una targa nell’androne dell’istituto, a ricordo di quella bambina che aveva saputo combattere il male fino all’ultimo, continuando a frequentare le lezioni, facendo diligentemente i compiti ed evitando accuratamente ogni compassionevole occasione.
Solo, si era rammaricata con la sua professoressa, di non riuscire a frequentare l’ora di ginnastica, a causa dei forti dolori che le impedivano i movimenti atletici.
Era stata un esempio per tutti.
Il Professor Landi ascoltò il discorsetto del Preside, assorto, a capo chino.
Improvvisamente si rese conto di come, chiuso nella sua paranoia, non avesse saputo amare davvero la sua prediletta.
Si era preoccupato solo del proprio piacere, vedendo in Valentina, nient’altro che un oggetto di trastullo.
Si vergognò di tutto questo e da quel momento smise di pensare alle bambine.
E si ritrovò vecchio, di colpo.

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