#285 - 8 maggio 2021
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterà  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerà  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Fotografia

Uno scoop mancato... e dimenticato

Ritorno a Saigon

di Guido Alberto Rossi

La storia che state per leggere è uno scoop, magari un scoopino, comunque nessuno prima di adesso ha pubblicato queste foto e io non ho mai raccontato a nessuno di questo viaggio.

Non perché volessi tenere la cosa segreta, ma semplicemente perché ai tempi in cui abbiamo fatto questo servizio non interessava a nessuno e nessun giornale ce l’ha acquistato e pubblicato, quindi è rimasto chiuso in un cassetto per ben 48 anni.
Abbiamo, perché è un reportage fatto a quattro mani, le mie e quelle di Ennio Jacobucci, probabilmente uno dei più grandi fotografi italiani di guerra degli anni 70.

Ritorno a Saigon

Avevo conosciuto Ennio a Saigon nel 1968. Io ero un pivellino e lui ormai un fotografo affermato, in Vietnam era già una leggenda, era arrivato nel 1966 e non andò più via fino a Marzo del 1975 fotografando fino all’ultimo le partenze caotiche dei civili che scappavano dai tetti dei palazzi prelevati dagli elicotteri.
Ennio ha dato una mano a tutti i giornalisti e fotografi italiani che sono passati da Saigon in quegli anni. Ci aveva presentato un funzionario dell’Ambasciata italiana con cui avevamo bevuto un paio di birre nella terrazza parterre dell’hotel Continental e alla fine quando ci siamo salutati ci siamo detti la solita frase “ci sentiamo”.

Ritorno a SaigonRitorno a Saigon

Ai tempi, come sapete, non c’erano telefonini e meme e l’unico modo per tenere i contatti erano le lettere, magari un paio all’anno giusto per sapere le reciproche vicende.
Con Ennio era una all’anno scarsa, molto breve, in genere non superava la mezza pagina, non era un tipo di tante parole, figuriamoci scrivere. Poi nella primavera del 1973 mi scrive che stava venendo in Europa e sarebbe passato dall’Italia, andava a trovare i parenti a Roma e poi sarebbe venuto a Milano. Gli risposi che potevo ospitarlo; vivevo in un bilocale perfettamente diviso al 50% tra sala da pranzo, salotto, guardaroba e camera da letto, tutto incluso e nell’altro 50%, l’ufficio, c’era anche una branda da campeggio che per l’occasione veniva sistemata in ufficio e fungeva da camera degli ospiti. Non era il Ritz ma era gratis.

Ritorno a SaigonRitorno a Saigon

Andammo a cena e dopo due bottiglie di buon vino progettammo un viaggio in auto da Saigon a Quang Tri, che era il punto più a nord, controllato dal governo sudvietnamita al di là del fiume Song Thach Han c’era l’esercito nordvietnamita che faceva gran sfoggio di bandiere.
La città era passata di mano più volte tra marzo e ottobre del 1972 facendo un totale di circa 150.000 caduti, sommando le tre parti.
Al mattino davanti a biscotti e caffè, anziché dimenticare l’idea, come si fa di solito quando si abbassa il tasso alcolico, tirammo fuori una cartina e incominciammo a fare un piano concreto. L’idea ci sembrava ottima due fotografi italiani in giro per un paese in guerra sull’orlo del collasso, praticamente abbandonato dall’alleato principale. Non c’erano molte foto della vita civile del paese e non ci risultava qualcuno avesse fatto una cosa simile.
Avremmo percorso circa duemila chilometri tra andata e ritorno sulla QL1, sicuramente moltissimi soggetti da fotografare! Sarebbe stato un gran reportage, ovviamente sarebbe interessato a tutti e ci saremmo ripagati abbondantemente.
Purtroppo per la nostra cassa comune non andò così, abbiamo girato tutte le redazioni ma a nessuno più interessava il Vietnam, era ormai acqua passata e senza gli USA non poteva fregare di meno.

Ritorno a Saigon

Comunque, fu un gran viaggio: grazie ai contatti di Ennio saltò fuori una Citroen Mehari di plastica che in Vietnam si chiamava Dalat e non superava i 110 km orari in discesa e con il vento a favore.
Partimmo un mattino e capimmo subito che se anche avessimo avuto una Ferrari i tempi di percorrenza sarebbero stati gli stessi: circa due minuti a chilometro con strada sgombra, realisticamente facevamo circa 20 km/ora, senza contare il tempo perso ai posti di blocco dell’esercito sudvietnamita che erano abbondanti e lenti. C’era poi il problema delle forature che oltre al tempo impiegato per cambio della gomma c’era l’inevitabile sosta dal gommista. Mentre la benzina e il cibo non erano un problema, l’incubo quotidiano era la ricerca della locanda o hotel, non tanto per la stanza che bene o male andava sempre bene, il problema vero era dove mettere l’auto per la notte in modo di ritrovarla al mattino.

Ritorno a SaigonRitorno a Saigon

Dopo le prime due sere, scoprimmo che il modo più sicuro era pagare qualcuno che vi dormisse dentro e noi per sicurezza ci tenevamo la sua carta d’identità fino al mattino quando partivamo, se poi ce la lavava avrebbe avuto un bonus. Altre volte la strada veniva bloccata perché era in atto un combattimento, ma grazie alle nostre tessere stampa (Bao Chi) potevamo passare. Peccato o per fortuna tra una cosa e l’altra siamo sempre arrivati che era tutto finito. Una volta abbiamo anche sbagliato strada e dopo aver percorso qualche chilometro tra gigantesche buche e fango autobloccante siamo spuntati dietro un posto di blocco dell’esercito governativo, con tanto di carro armato; molto meravigliati di vederci interi ci spiegarono che avevamo attraversato una zona Viet Cong, beh! non era colpa nostra se non c’erano cartelli.

Ritorno a Saigon

Dopo 5 giorni, arrivammo tra i ruderi di Quang Tri e tornammo a Saigon impiegando un giorno in meno. Eravamo tornati al quasi lusso dell’ hotel Continental molti fieri del nostro viaggio, delle foto scattate e convinti di essere diventati un po' meno poveri.
Ennio morì a Roma nel 1977 e tutto il suo magnifico archivio, comprese le foto del nostro scoop, andò perduto.

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