#281 - 6 marzo 2021
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarrà  in rete fino alla mezzanotte del giorno sabato 30 novembre quando lascerà  il posto al numero 358 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè" (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) «La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti». Papa Francesco «Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo». Alberto degli Entusiasti "Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità , vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Televisione

Sanremo? Parliamone

di Federica Fasciolo

Niente di più semplice, terminato un altro festival di Sanremo, che spegnere la tv, tirare finalmente un sospiro di sollievo, e pronunciare le solite parole: che canzoni di merda. Non ce n’era una decente oh, manco a cercarla, forse solo quella lì che, guarda caso, mi ricorda cosa ascoltavo io negli anni 70. Poco importa se mentre i cantanti si esibivano lavavate i piatti, portavate fuori il cane o la spazzatura o entrambi o litigavate su chi dovesse farlo, se avete sentito solo una strofa prima di cambiare canale o se è partito l’abbiocco sul divano complici la luce soffusa e il suono confortante delle parole “chiamatemi direttore, non direttrice” – dolce ninna nanna per chi di queste donne che vogliono la parità proprio non ne può più, rassicurazione al patriarcato che può continuare a dormire sonni tranquilli. Che queste canzoni le abbiate sentite o no, il modo più sicuro per non fare la figura delle capre, di fronte a chissà chi poi, forse a un Dio della musica che ci ascolta sempre anche se non lo vediamo e che deciderà se accoglierci nel paradiso dei Veri Intenditori, è sempre dare per scontato che facciano per lo più schifo, e che tra dieci anni, tanto, non ce ne ricorderemo nemmeno una. Unico intoppo? Tutti questi sforzi di mettere al riparo il nostro ego sono pressoché inutili, se non ridicoli, durante un’edizione del festival in cui non sono di certo le canzoni a meritare le critiche più feroci.

Amadeus e la sua spalla, Fiorello, si sono cimentati, serata dopo serata, nello stracciare la pazienza del più ben disposto degli ascoltatori: involontariamente – a essere ottimisti – sessisti, retrogradi, la cui ottusità si potrebbe quasi perdonare se fossero i nostri cari zii che blaterano in salotto e non andassero in diretta su Rai 1. Cattiva uscita dopo cattiva uscita, la carrellata di giovani sul palco – quelli dei “milioni di visualizzazioni” su internet – non è sufficiente a salvarli da loro stessi (e a salvare noi da loro) e si rivela presto per quello che è, non un modo per svecchiare davvero Sanremo, ma una superficiale operazione di marketing per raccattare ascolti. Il festival ha la crisi di mezza età e si veste da ragazzino, ma ha la barba bianca e appena apre bocca si capisce che non conosce lo slang. Prima Amadeus si sorprende quando Francesca Michielin condivide i fiori di Sanremo con Fedez – “wow”, commenta, scioccato all’idea che anche un uomo possa essere omaggiato in quel modo perché, lo sappiamo tutti, i fiori son cose da donne –, poi Fiorello ironizza sul gesto offrendone un mazzo proprio all’allenatore Sinisa Mihajlovic, che tutto fuorché inaspettatamente li dà subito via con lo sdegno e il terrore di qualcuno a cui hanno appena cercato di tagliar via gli attributi in diretta. L’incontro con l’attaccante della Nazionale di Powerchair Football (calcio in carrozzina elettrica), Donato Grande, non è lo scambio alla pari che ci si aspetterebbe nel 2021 quanto una rappresentazione di abilismo condita con quei tocchi di pietà di chi ancora non ha ben compreso che le persone con disabilità (sì, è questo il vocabolario corretto, Amadeus) sono soggetti attivi che possono dare contributi di valore alla società intera.

Se tutto questo non fosse sufficiente, arriva a darci il colpo di grazia Barbara Palombelli, che prima associa le parole “giocare con la pistola” al suicidio, e poi invita noi giovani donne a ringraziare perché se ci troviamo i nostri diritti belli pronti è anche grazie a lei che è scesa in piazza. L’ultimo addio del Festival al mondo reale. Palombelli dimentica il dettaglio che se lei è riuscita a realizzare i suoi sogni, non significa che ora a tutte le donne vengano date pari opportunità e non ci siano più motivi di lottare. Ciò che il suo monologo ottiene è solo di scaricare, per l’ennesima volta, tutta la responsabilità sulla donna come singolo individuo, sollevando le istituzioni e gli uomini dal fare la loro parte.

Chiariamoci, la colpa di Sanremo e dei programmi come Sanremo, di chi li organizza, di chi li conduce e vi partecipa, non è di per sé l’età. La vera colpa è la mancanza di interesse di crescere ed evolversi, il non sentire la necessità di studiare e mantenersi aggiornati. L’establishment televisivo impara a bacchetta le nuove istanze sociali, le tratta come fossero una moda temporanea e un capriccio, memorizza, spesso e volentieri male, cosa non si può proprio più dire, con l’unico scopo di non inimicarsi fette troppo grandi di pubblico e senza mettersi mai davvero in discussione. Fiorello non si è domandato se potesse essere sbagliato scherzare dicendo, “uomo, donna, ormai… Siamo fluid, siamo fluid, capito… ormai non c’è più genere, finita”, né si sarà accorto della contraddizione tra le sue parole e la presenza dell’ospite fisso del Festival Achille Lauro; allo stesso modo nessuno tra le fila di Sanremo sembra essersi reso conto dell’aperto contrasto tra il monologo paternalista di Palombelli e il brillante intervento della cantante Elodie, che invece ha sottolineato come crescere in un contesto di borgata porti cose belle ma anche tanta rabbia e demoralizzazione e quanto le sfide quotidiane impediscano spesso alle persone di avere speranza o modo di coltivare dei sogni, ribadendo la sua grande fortuna nell’avere incontrato qualcuno che abbia riconosciuto il suo talento. Sembra che, alla Rai, i due discorsi siano apparsi complementari anziché opposti, a riprova della superficialità con cui ci si è avvicinati a questi temi. Troppi tra coloro che ancora decidono cosa possa passare oggi in televisione hanno conoscenze tanto scarse in materia che, anche se in realtà il loro compitino sociale non si avvicina nemmeno lontanamente alla sufficienza, sono comunque convinti di meritare dieci.

L’unica canzone in gara il cui testo abbia sollevato polemiche soffre dello stesso problema. In “Mai dire mai (La Locura)”, Willie Peyote canta “non ho capito in che modo twerkare vuol dire lottare contro il patriarcato”: dalle interviste traspare che la sua intenzione non fosse antifemminista, eppure, a causa del suo mancato interesse nell’approfondire l’argomento, ha finito per scrivere una frase condiscendente e inaccettabile, dal momento che molte donne scelgono di fare attivismo proprio mostrando il proprio corpo, ribellandosi alla narrativa corrente di un paese che fatica ad accettare che una donna possa avere una vita sessuale libera e in cui alle vittime di stupro viene ancora chiesto “ma com’eri vestita?”.

Tutti questi errori grossolani, che passando in tv continuano a legittimare chi tra il pubblico ancora condivide vecchi stereotipi e diseducare chi non ha interesse oppure occasione di approfondire, rivelano quindi non solo che molti pregiudizi siano così radicati che persino chi li ha non si accorge di averli, ma soprattutto che chi tuttora decide cosa passa in televisione o cosa dire in televisione non ha preso consapevolezza di questo bias cognitivo di cui ormai dovrebbero essere a conoscenza pure i fermenti lattici [cit.], e quindi non ha l’umiltà di cercare di porvi rimedio, quando invece dovrebbe essere un suo dovere assoluto. Mi spiace per voi (ma in realtà più per noi che per voi), cari organizzatori e futuri conduttori di Sanremo, ma la verità è che, finché non lavorerete seriamente su questo, potrete anche invitare tutti i giovani del mondo, tutti i figli di X Factor e ragazzi di Maria De Filippi e cantanti-con-l’auto-tune che volete, e il Festival non si modernizzerà mai. Nell’attesa che ve ne rendiate conto vado a godermi il disco delle canzoni di quest’anno, felice perché finalmente, tra un brano e l’altro, per fortuna non parla più Amadeus.

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