Tamara
Parte prima
di Ruggero Scarponi
Dalle parti del quartiere Flaminio a Roma, circondata da un bel giardino con tanto di fontana nella quale nuotavano alcune varietà di pesci rossi, si ergeva una palazzina di aspetto signorile, suddivisa in una dozzina di appartamenti, tutti grandi, ariosi e adeguatamente attrezzati per degli inquilini ricchi e raffinati.
La palazzina, fin dalla fondazione, intorno alla metà degli anni venti del novecento, era sempre stata abitata dalle stesse famiglie di agiati professionisti.
Le generazioni si erano succedute alle generazioni ai ritmi di una società e di un ceto colto e intraprendente pienamente fiducioso nel progresso e nel futuro.
E così non passava anno che fiocchi rosa o azzurri, esposti orgogliosamente sul portone dell’ingresso principale, non stessero a mostrare di volta in volta, l’insopprimibile forza vitale di quella borghesia trionfante.
Tuttavia, tra gli anni settanta e ottanta, tanta sicurezza e ottimismo cominciarono a vacillare. Nonostante la ricchezza di cui disponevano quelle famiglie, si dovette registrare da parte di qualche inquilino, specie dei più giovani, un’insofferenza, via via più marcata, nei confronti di uno stile di vita ritenuto obsoleto. E così, pur nella pace e nella felice solitudine da cui era circondata la palazzina, cominciarono a sorgere in tutte le famiglie che l’abitavano, contrasti e conflitti, a volte persino insanabili, tra genitori e figli e tra vecchi e giovani.
Tra i segni distintivi della palazzina v’era senz’altro la portineria. Un lusso, considerato lo scarso numero di condòmini sui quali era ripartito l’onere economico.
Da una quindicina d’anni era entrato in servizio nel ruolo di portinaio, tale Giuseppe Russo, originario di Caserta, che si era portato dietro la giovane moglie Assuntina con la figlioletta Tamara, di appena un anno. Il condominio, se così vogliamo definire l’elegante palazzina, assegnava al portiere un appartamento nel piano interrato, a indicare una condizione subalterna di chi lo abitava, ma per il resto, in tutto e per tutto grande e comodo come gli appartamenti degli altri signori inquilini.
Va anche ricordato che al portiere dello stabile era richiesta soprattutto la funzione della sorveglianza diurna poiché alle pulizie ordinarie era preposta una società specializzata, così per tutte le manutenzioni, dall’idraulica al giardinaggio. L’orario di lavoro era regolato secondo contratto e questo prevedeva per il portiere turni di vacanza e di riposo come per tutti gli altri lavoratori. Unica incombenza, caratteristica della professione, era di garantire l’apertura e la chiusura del portone d’ingresso mattina e sera, anche durante le festività riconosciute.
Giuseppe e Assuntina fin dal principio s’impegnarono nel lavoro con grande entusiasmo e professionalità, assolvendo con ordine e metodo ai loro compiti, che non erano gravosi ma che non di meno richiedevano assoluto rigore. I condòmini ne furono contenti e, soddisfatti, gratificarono la simpatica coppia con mance generose nelle più diverse occasioni.
Purtroppo, un episodio spiacevole avvenuto alcuni anni or sono, influì negativamente su Giuseppe e Assuntina. Un equivoco, di sicuro, ma che finì per guastare il rapporto tra i coniugi. Niente di rilevante, come si è detto, solo un parlottare sommesso con qualche risatina a stento trattenuta tra Assuntina e un giovane medico venuto a visitare qualcuno nella palazzina. Questa scenetta, colta da Giuseppe fortuitamente, insinuò in lui il germe della gelosia convincendolo dell’infedeltà di sua moglie.
Naturalmente Giuseppe non poteva affrontare apertamente il medico, come avrebbe desiderato, per tutelare il proprio onore. Avrebbe rischiato, accusandolo, specie se ingiustamente, di compromettere il lavoro nella portineria e la stima goduta presso i condòmini. E questa condizione d’impotenza e di rabbia repressa lo esacerbò a tal punto da spingerlo a riversare sulla povera Assuntina una quantità di accuse ingiuste e pretestuose. La donna, che sulle prime aveva cercato di rassicurare il marito, giurando in tutti i modi che nulla di male era avvenuto tra lei e il dottore, visto inutile ogni tentativo, con il passare del tempo e per istintiva reazione, divenne aspra e cinica ribattendo a ogni attacco di Giuseppe con tutto il risentimento che nasce da un amore quando si tramuta in odio.
È a questo punto che entra in scena Tamara. Al lettore non faremo nessuna particolare descrizione della ragazza, gli basti sapere che era graziosa e questo per consentire a ognuno di figurarsela come crede.
Tamara a volte sostituiva papà e mamma nella portineria. A sedici anni era abbastanza matura da prendersi quella responsabilità. Conosceva tutti i condòmini e sapeva come sbarrare il passo agli sconosciuti e agli importuni che tentavano in un modo o nell’altro di raggiungere gli appartamenti.
Quando papà e mamma litigavano, e questo avveniva di sovente, Tamara, di sua iniziativa, raggiungeva la stanzetta riservata al portiere, proprio di fronte alle cassette per la posta e si metteva al lavoro, di modo che nessuno, nel palazzo, potesse lamentarsi di qualche disservizio. Alle sette in punto, apriva il portone. Gli addetti della società incaricata delle pulizie a quell’ora se n’erano già andati. Poi, Tamara, si occupava di spolverare e tenere in ordine la portineria, di smistare la posta e di altri piccoli servizi tipici della routine quotidiana. Papà e mamma quando cominciavano a litigare erano capaci di dimenticarsi di tutto, del lavoro, della casa e perfino del tempo, andando avanti per giorni, chiusi in sé stessi, imprigionati in una gabbia acida e terribile fatta di rancori e di risentimenti. Tamara, invece, era una ragazza d’oro e più di qualche inquilino se n’era accorto.
Molte signore, nel palazzo, tutte anziane, la compiangevano, vedendola mortificata in una condizione innaturale e di cui lei, con la più grande evidenza, era la vittima innocente.
Ma proprio questa particolare situazione la rendeva amabile agli occhi dei condòmini.
Ora bisogna sapere che i genitori di Tamara, impegnati a farsi la guerra e totalmente presi dai rispettivi rancori, non si facevano più scrupolo di disertare la portineria. È vero che come abbiamo raccontato, Tamara era in grado di farsene carico, nondimeno qualcuno cominciò a seccarsi di quell’andazzo irregolare. Non tanto gli anziani condòmini quanto l’Amministratore. Costui inviò una prima lettera di monito in cui invitava Giuseppe a riprendere senza indugio le mansioni di sua competenza e poi non avendo ottenuto esito positivo, si risolse d’indire un’assemblea straordinaria, in cui avrebbe proposto ai condòmini il licenziamento del portiere per giusta causa, con relativo sfratto dall’alloggio. (continua)