#279 - 6 febbraio 2021
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Cultura e Società

La via dei simboli

Lorenzo Ostuni e la "Caverna di Platone"

di Luigi Capano

Nel corso delle ricerche disordinate e ondivaghe che hanno segnato qualche decennio della mia vita, mi è capitato di incontrare di tanto in tanto il nome di Lorenzo Ostuni, credo fin dagli anni ’80.
Delle frequenti iniziative promosse dalla sua associazione-laboratorio, “La Caverna di Platone” in Via degli Scipioni nel quartiere romano di Prati, leggevo notizie sommarie tra le cronache di qualche quotidiano nazionale. Mi capitava talvolta di vederlo, con alterno interesse, in televisione: negli anni ’90 fu tra gli ideatori di “Misteri”, un programma dedicato al paranormale trasmesso dalla RAI. Tra coloro che interrogavo sul suo conto, taluni lo liquidavano sbrigativamente come “mago”, altri lo consideravano un “maestro”.

La via dei simboli

Due volte l’ho incontrato, sempre a distanza, mescolandomi nel pubblico, sempre in occasione di una conferenza (era un abile e facondo oratore): la prima la ricordo nella sede di un sindacato di scrittori dalle parti di Via Po, dove si dilungò a parlare di Federico Fellini col quale raccontava di aver avuto un intenso rapporto di amicizia ed una ampia condivisione di interessi “esoterici”. La seconda si tenne invece al “Polmone Pulsante”, una singolare galleria d’arte scavata nell’erta Salita del Grillo vicino ai Fori. Un piccolo ma vivace centro culturale – tuttora attivo – all’epoca animato con amorevole passione dal pittore Saverio Ungheri e dalla moglie Teres che coltivavano i loro interessi “esoterici” invitando relatori come Claudio Lanzi, Umberto Di Grazia, Fulvio Rendhell, Maria Grazia Albanese. Ed io stesso mi sono impegnato per qualche anno, su loro sollecitazione, in un intensa attività organizzativa.

La via dei simboli

La conferenza di Ostuni aveva un’impostazione di taglio interattivo: veniva mostrata agli astanti una nutrita collezione di oggetti, di materiale metallico mi sembra, raffiguranti simboli più o meno noti (alcuni mai visti); ed una serie di libri contenenti ampie raccolte di frasi oracolari correlate in qualche modo ai simboli stessi mediante una data sequenza numerica. Quella complessa costruzione di testi epigrammatici e di immagini ermetiche veniva chiamata “sistema simbolico”. Quando un volontario tra il pubblico raccoglieva l’invito a trascegliere un simbolo ed una frase, veniva sottoposto ad un’indagine introspettiva piuttosto intima a metà strada tra la psicoterapia e la mantica.
Ricordo la mia sospettosa perplessità dinanzi a quella lambiccata operazione di svelamento che lasciava sorpresi e fin troppo emozionati coloro che vi si sottoponevano ed il mio dubbioso interrogativo dinanzi al sorriso compiaciuto e soddisfatto dell’eloquente aruspice

La via dei simboli

Lorenzo Ostuni è morto nel 2013 a Roma ancora nel pieno della sua attività (era nato nel ’38 a Tito, un paesino dell’entroterra lucano). Ho avuto con lui un ulteriore incontro, questa volta postumo, due anni fa a Villa Torlonia quando, per un impegno giornalistico, mi sono recato a visitare la mostra “Magia della luce”, dedicata ai suoi specchi incisi, che ha reso il neocinquecentesco Casino dei Principi simile ad uno spaesante Theatrum Catoptricum.
Ho compulsato il libro-catalogo prefato da Claudio Strinati e generoso di contributi e testimonianze: uno strumento sicuramente utile per inquadrare questo personaggio poliedrico che appare indocile ad ogni tentativo classificatorio.
Ho letto con maggiore interesse il ricordo della moglie Fiorella Fiore che ne delinea un profilo biografico ragionato da cui affiorano due indizi illuminanti: la figura del nonno Mariano che divinava il futuro osservando la milza del maiale appena ucciso sussurrando una litania cerimoniale in lingua osca; ed il padre Vincenzo dalle spiccate attitudini artigiane che lavorava il ferro battuto con abile e appassionata manualità. Una propensione, questa, che evidentemente trasmise al figlio il quale ideò una tecnica originale di incisione su specchio mediante un piccolo trapano elettrico guarnito di una fresa diamantata. Una tecnica che ha tuttora dei proseliti e che presenta una difficoltà cruciale: l’incisore deve sempre eludere l’incontro con il proprio sguardo riflesso altrimenti lo specchio immancabilmente va in pezzi. “Solo eliminando l’io è possibile incidere uno specchio” ammonisce Ostuni. Un metafora del processo catartico di disidentificazione variamente alluso da molte tradizioni sapienziali: potrebbe essere questa una delle chiavi di accesso alla virtù terapeutica degli specchi a cui da più parti si fa cenno nel libro-catalogo. Ma si tratta soltanto di un modesto tentativo ermeneutico. “Qualunque sia la sua forma o la sua destinazione, lo specchio è sempre un prodigio dove realtà e illusione si sfiorano e si confondono” : Jurgis Baltrušaitis, lo storico dell’arte lituano che alla sapienza catottrica ha dedicato gran parte dei suoi studi ci mette in guardia da facili autoinganni.

La via dei simboli

Le superfici specchianti disseminate nel Casino dei Principi sono istoriate con simboli (cabalistici, alchemici, astrologici); con ritratti (come quello di Fellini o come l’autoritratto col padre); con immagini mutuate da varie culture e religioni; con visioni apparentemente oniriche. Nel seducente universo delle analogie lo specchio è affine alla coscienza, all’occhio dalla chiara visione .
Con l’ausilio degli specchi incisi Ostuni inscenava, coinvolgendo i suoi allievi, una sorta di rappresentazione catartica di cui era il regista e insieme il deus ex machina, ispirato dallo psicodramma dello psichiatra rumeno Jacob Levy Moreno e, probabilmente, mosso dal desiderio di ricreare il clima soteriologico degli antichi Misteri. Ideò cosi il biodramma, una sorta di percorso iniziatico in cui l’”attore” prende simbolicamente contatto con i momenti cruciali della propria vita mediante una messa in scena teatrale. E, nel ’92, cominciò tenere proprio dei laboratori di biodramma (assieme ad un’altra tecnica “psicotropa” che chiamò Mirror Therapy) presso il rinomato Esalen Institute a Big Sur in California, il centro per “lo sviluppo del potenziale umano” fondato nel ’62 da Michael Murphy e da Richard Price allievi entrambi dell’orientalista e filosofo Frederic Spiegelberg la cui celebre frase “ the religion of no religion” (che è anche il titolo del suo libro più noto) può considerarsi la direttiva programmatica delle molteplici attività dell’Istituto che, nel corso degli anni, ha ospitato , tra gli altri, Roberto Assagioli, Ida Rolf, Gregory Bateson, Alan Watts, Alexander Lowen, Fritz Perls.

La via dei simboli

Ostuni, che amava definirsi simbologo, ha raccolto nella sua Caverna di Platone migliaia di simboli provenienti da ogni latitudine e da ogni epoca ed ha ideato diversi sistemi simbolici con l’intento di lumeggiare certi poteri percettivi profondi della mente legati in qualche modo alla preveggenza. Ho potuto di recente esaminare il video di una sua conferenza (conservato presso l’archivio del Polmone Pulsante) datata 27 marzo 1996 e avente per titolo I sistemi simbolici e la cultura dell’interiorità, nel corso della quale ha esposto la sua concezione del simbolo chiarendone alcuni aspetti. Vale la pena soffermarsi un po’, trattandosi di un documento piuttosto raro. Per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco il relatore prende l’abbrivio con un distinguo: il simbolo non è un segno. Non si tratta, ovvero, di semiologia ma piuttosto di ontologia, non di linguaggio bensì di essenza. I simboli, nella concezione di Ostuni, sono strutture sia mentali che cosmiche. Potremmo intenderle come il punto di contatto e di osmosi tra micro e macrocosmo. Mentre nella teoria semiologica il simbolo è “la massima significanza nella minima forma”, nella sua concezione ontologica il simbolo diventa invece “la massima energia nella minima forma, non la massima informazione ma la massima potenza, la massima sostanza nella minima struttura”. E continua aggiungendo altri tasselli al suo eloquio fino ad azzardare che “la concezione ontologica ci consente di dire che un simbolo – inteso come deposito energetico in grado di agire - può guarire una persona dalle sue malattie”. Sarebbe interessante oltre che utile rintracciare le fonti che hanno irrorato o perlomeno influenzato tale visione.

La via dei simboli

Quando si parla di simbolo non si può prescindere da Jung e dal suo contagioso epigono Hillman, ma spigolando nella pagina Facebook di Ostuni ho trovato una lunga citazione dalla “Tradizione Ermetica” di Julius Evola. Il volto macrocosmico del simbolo ostuniano è, verosimilmente, di provenienza ermetica. Ma torniamo al video-documento. Ostuni accenna a due simboli primari costitutivi dell’intero cosmo (micro e macro), la spirale e l’elica: “Tutto ciò che esiste nell’universo o è spiraleggiante o è elicoidale, sia che adoperiamo il telescopio sia che scrutiamo nel microscopio” e aggiunge altresì che tutti i simboli sono antichissimi: “nessuno di questi simboli che vi ho portato – dice - può essersi formato in meno di diecimila anni. Ci vuole uno stillicidio sostanziale e formale che duri almeno diecimila anni perché emerga un simbolo nel pensiero umano”. Esempio classico è il simbolo solare della croce (in particolare la croce latina rappresenterebbe il sole nascente), che – spiega Ostuni – “ ha dagli ottanta ai novantamila anni ed è reperibile nelle culture rupestri dell’altissima preistoria, quando ancora non ci sono manufatti e tuttavia vi sono strutture simboliche incise sulla roccia. Quindi il pensiero simbolico precede ogni altra forma di pensiero. E’sottostante ad ogni linguaggio e ad ogni forma di comunicazione.

La via dei simboli

Le religioni sono recentissime, sono neonate, non possono essere portatrici di simboli: le religioni sono solo le utilizzatrici di simboli infinitamente più antichi che sono arrivati in forma empatica, in forma latente e insieme dirompente nel pensiero umano”. Poi prosegue soffermandosi con dotta levità sull’analisi dei sogni, dato che, nella cultura occidentale, segnatamente da Freud in poi, il sogno è considerato una porta privilegiata d’accesso al simbolo solo che si abbiano la perseveranza e gli strumenti necessari: “Nel fondo di taluni grandi sogni – osserva - talvolta comincia a brillare il simbolo, come una pepita d’oro che si trovi in fondo a una montagna di rifiuti”. Porta infine l’attenzione del pubblico affabulato sul cuore della sua ricerca speculativa e sperimentale, il sistema simbolico: “Scopriamo che ogni individuo – rivela- ha delle facoltà inimmaginabili di carattere chiaroveggente che non si attivano se non c’è una serie di sistemi simbolici che glielo consentono. I sistemi simbolici sono dei detonatori che attivano le particelle profonde della mente e consentono a chiunque si sia messo in sintonia con essi di poter attingere delle verità che sono altrimenti inesplicabili e irraggiungibili perché coperte da montagne di schermature e di mascherature. Il problema è come costruire un sistema simbolico”.
Ma qui si apre un territorio a noi sconosciuto che ipotizziamo arduo e sterminato, e cautamente ci ritiriamo.

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