Un commosso ricordo del grande Maestro
Caravaggio 1931 - Bergamo 2021
Pepi Merisio
poeta della fotografia
ha narrato la bellezza con amore
Di
Amanzio Possenti
Era un mondo di fiaba e di poesia, di gusto della bellezza, di attenzione popolare alla realtà contadina e di sensibilità umana profondissima, quello di Pepi Merisio, il grande fotografo di origine caravaggina, morto mercoledì nella sua abitazione a Bergamo, a 90 anni.
Era sicuramente uno dei maggiori fotografi italiani del ‘900: ha lasciato testimonianze gigantesche – un centinaio e più di volumi fotografici – e soprattutto il segno di un uomo speciale, aperto alla realtà minore, quella sconosciuta della povera gente, dei paesi, dei borghi, e, principalmente, di una Italia tutta da vedere, da ammirare e da amare nella più intima verità.
Pepi ha guadagnato, nella sua lunga professione, una «montagna» di premi e di riconoscimenti, a livello nazionale e internazionale, lui che era diventato fotografo professionista, dopo essere stato per parecchi anni, in gioventù, un autodidatta, nato con il gusto della immagine, perfezionatosi nel tempo, sviluppatosi ad altissimi livelli con prestazioni presso autorevoli riviste italiane e straniere.
Era nato a Caravaggio nel 1931, da una famiglia locale, nota e stimata: aveva cominciato ad occuparsi di fotografia all’età di 16 anni, dapprima come amatore, poi via via come fotografo sempre più impegnato e soprattutto autonomo e personalissimo.
Le sue prime esperienze erano state avviate nella collaborazione con il Touring Club Italiano.
Erano seguite collaborazioni da fotoreporter con le riviste più note dell’epoca – tra gli anni 50 e 70: da «Camera» a «Du» a «Realité» a «Look» a «Paris Match» a «Stern» e nondimeno a «Famiglia Cristiana».
La sua attività di professionista dell’immagine era cominciata formalmente nel 1962 quando aveva cominciato a collaborare alla rinomata rivista «Epoca», una delle più significative nella storia editoriale italiana. In questa veste aveva pubblicato servizi di altissimo livello, mettendo insieme una serie di immagini che lo condussero ad un grande servizio fotografico dal titolo “Una giornata col Papa», pubblicato da Epoca nel 1964.
Da quel momento aveva avviato un lavoro costante con Paolo VI, Giambattista Montini, bresciano. E lo aveva seguito nei suoi viaggi, alla pari del pittore Trento Longaretti, che aveva a sua volta partecipato con presenze continue di dipinti ai viaggi pastorali internazionali di Paolo VI. Pepi ha rivelato fin da allora la sua profonda sensibilità cristiana, di forte credente.
E’ difficile ricordare qui, in un testo di memoria, tutte le opere che egli ha realizzato e ha lasciato: dalla collaborazione con l’amico scultore Floriano Bodini, a quello con i numeri fotografici di «Du» sul Vaticano e sull’Italia cattolica, insomma un procedere ininterrotto di collaborazioni di livello superiore. Con quali gusti e con quale stile? Il gusto era quello di una indagine principalmente fiabesca, ma non per nulla irreale, che comprendeva campagne e paesi nascosti; lo stile era quello di un professionista che amava l’immagine attraverso la quale «parlava», ossia stabiliva un diretto e immediato rapporto con il lettore.
Pepi ha raccontato non solo la terra bergamasca, quella caravaggina e trevigliese, delle nostre vallate, ma anche e soprattutto l’Italia intera: tanto per citare, rive deserte di fiumi, tonnare al largo della Sicilia, uomini al lavoro, angoli i più significativi, curiosi e originali della nostra Italia.
Insomma, un genuino, autentico poeta dell’immagine, amico di Ermanno Olmi, con il quale condivideva tipicità socio-culturale, dal gusto per la povera gente a quello dello stile di racconti sempre profondamente umani.
Considerato uno dei maggiori fotoreporter a livello internazionale, ha dedicato i suoi scatti al valore della immagine, dandole un significato pieno, di totale partecipazione, con purezza di stile e proprietà di linguaggio.
E poi i suoi rapporti costanti e affettuosi con Treviglio: sono sempre stati intensi, vivi, felicemente condotti, principalmente con il dott. Alfredo Ferri, all’epoca in cui era presidente della Cassa Rurale, la cui amicizia Pepi Merisio ha coltivato a lungo; e poi anche con Gianfranco Bonacina, successore di Ferri alla guida della Cassa trevigliese. La collaborazione con la Cassa Rurale ha rappresentato un altro dei molteplici aspetti della sua vita artistica, con il riconoscimento di essere considerato fra i più autorevoli personaggi con rapporti intensi con la nostra Cassa Rurale. E’ stato anche protagonista di manifestazioni culturali in sede trevigliese, più volte, grazie alla Cassa Rurale, per la quale ha realizzato anche libri fotografici di livello storico-culturale. E poi, amicizie con molti concittadini.
Insomma, un personaggio di profilo alto, un uomo della nostra terra, un galantuomo sotto tutti i profili, capace di immedesimarsi nella realtà e soprattutto di raccontarla con poesia: questa fu sicuramente la sua cifra culturale più significativa, nonché la più coinvolgente per tutti i suoi ammiratori, e sono migliaia. Ricordo che nel 2019 Bergamo gli ha dedicato una mostra dal titolo «Guardami» al museo della Fotografia Sestini.
In quell’occasione Denis Curti nella introduzione al catalogo della mostra aveva scritto tra l’altro: «Nel suo mirino ci sono sempre il lavoro nei campi, il paesaggio e la vita delle comunità ancorate ai cicli delle stagioni».
Proprio così, le stagioni del vivere, sono state per Pepi l’esempio e il traino di un racconto di bellezza infinita. Con amore, passione e sapienza figurativa.