L'iniziativa di Nicoletta Ferrara
richiede a tutti una riflessione
La nostra casa...
...è la casa di chi non ha casa
di Redazione
Maestra di scuola primaria a Treviso, dal giugno 2015 a fine 2019 ha accolto in casa, insieme al marito Antonio Calò e ai quattro figli, sei ragazzi africani migranti. Per la loro scelta sono stati premiati dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal Parlamento europeo.
Ora che si avvicina la data della fine degli stage lavorativi che i ragazzi stanno svolgendo da sei mesi, si sente la preoccupazione per il futuro. Lo sapevamo. Niente di nuovo. Ma quando una scadenza si avvicina…
Siaka mi ha detto che ci pensa spesso, ma non si preoccupa perché c’è un Dio dei poveri che pensa sempre a loro e, anche se noi non sappiamo quale sarà, lui certamente ha già predisposto una strada per loro. «Quindi, mamma, io sono tranquillo, perché io ho fede in Dio e so che lui pensa a me».
Un Dio dei poveri. Penso che bisogna essere poveri per crederci davvero.
«Beati i poveri perché a loro appartiene il regno di Dio». Ora mi è più chiaro.
"Basta, stanno morendo tutti, non si può continuare così, dobbiamo fare qualcosa. Non abbiamo niente, ma possiamo aprire la nostra casa". E così avvenne: l’8 giugno 2015, la famiglia di Antonio Calò e Nicoletta Ferrara si è aperta, anzi spalancata.
Oltre ai quattro figli avuti in 30 anni di matrimonio, ecco entrare nella casa di questi insegnanti trevigiani sei nuovi figli:
Ibrahim, Tidjane, Sahiou, Mohamed, Saeed, Siaka. Giovani musulmani provenienti da Gambia, Guinea-Bissau, Ghana, Costa d’Avorio, sbarcati in Italia alla ricerca di un futuro migliore di quello lasciato alle spalle: povertà, persecuzioni e miseria in patria, violenze e torture in Libia, il rischio di un naufragio sui barconi del Mediterraneo.
Nicoletta Ferrara, la mamma, racconta giorno per giorno il formarsi di questa inedita famiglia nel libro A casa nostra, da cui sono tratta le righe riportate qui sopra.
Dodici persone tra cucina e soggiorno; le lingue wolof, mandingo e fula mescolate all’italiano come la pastasciutta e i cibi africani; le regole di casa: scuola e lavoro. E poi le lungaggini della burocrazia, ma anche il sostegno di tanti amici. E il bene che si fa contagio intorno.