In occasione della Giornata Mondiale di solidarietà con i Lebbrosi
Raoul Follereau
di
Dante Fasciolo
Una pioggia violenta di fine estate tormenta i vetri dell’albergo e folate di vento piegano al loro gioco le palme del giardino, mentre l’acqua del lago intreccia nervosamente le sue onde.
Settembre 1977, Raoul Follereau mi ha chiesto di raggiungerlo a Gardone per una intervista che si rivelerà ultima, come lui stesso aveva preconizzato.
Avevo già avuto modo di intervistare Raoul Follereau , l’apostolo dei lebbrosi, per un documentario di Raiuno sulla sua figura e le sue opere, che hanno animato le “Associazioni degli Amici” sorte in numerosi paesi dei cinque continenti.
Nello stesso anno mi ero fatto promotore di un tentativo che vedesse riconosciuto per Follereau il Nobel per la Pace, e a favore aveva firmato Madre Teresa di Calcutta alcuni cardinali e numerosi vescovi sollecitati in occasione di un incontro internazionale sulle Pontificie Opere Missionarie. Purtroppo Raul ci lasciò il 6 dicembre, e il Nobel è riservato ai viventi.
Raul Follereau è stato un personaggio straordinario, insieme a Madre Teresa di Calcutta, il brasiliano Dom Camara e il francese Abbè Pierre, ha tenuto alto tra gli anni ‘70 e ‘80 il senso della Pace, della Giustizia e della Speranza per un mondo migliore…e milioni di giovani in tutto il mondo hanno sentito l’impulso sincero di assecondare questo “sussulto del cuore”.
Gardone, di cui Follereau è cittadino onorario, Ha permesso un po’ di riposo, anche se “ quest’anno i disturbi di fegato mi hanno torturato…” e schiaffeggia sorridendo il suo lato destro del ventre… traspaiono i segni di una lunga battaglia, ma il guerriero produce ancora scintille.
-A 25 anni eri definito un poeta, dificile, poi ti sei dedicato con la stessa cordiale poesia ad una attività intensa, difficile: testimoniare solidarietà ai lebbrosi. Oggi, dopo tanti anni torni a scrivere poesie. Leggendole, le trovo più amare di quelle che scrivevi a 25 anni, perchè?
-Non ho mai cessato di scrivere poesie, o poemi; la mia felicità è guardare gli ulivi e sperare in un mondo di pace, concordia e fraternità. Questo mondo non è ancora nato, ma possiamo tutti lavorarci sopra.
Ciò di cui la gioventù ha più bisogno, ancor prima delle necessità materiali – delle quali è più volte rimpinzata - è l’ideale della speranza.
Il mondo non aspetta più niente: questo è il suo dolore, la sua infelicità… la sua maledizione.
Credo che il mondo di oggi sia posseduto dall’angoscia; la gioventù, sviata da Dio, cerca ogni giorno una ragioine, un ideale, una speranza per vivere, perchè vivere senza una speranza non è vivere, è aspettare di morire.
Sinceramente, quello che ho sperato nella mia vita è stata la lotta in favore dei più sofferenti e dei più umiliati, degli uomini più infelici; questa lotta credo dia averla condotta con animo di poeta.
Oggi mi dici che i miei poemi sono più amari: non tutti!
Scrivo volentieri, e il fondo del mio cuore possiede ancora una grande speranza.
Ho scritto; “prima dell’anno duemia fiorirà una primavera”. Lo credo con tutto il cuore. Non vedrò l’anno duemila, il mio stato civile vi si oppone.
Morirò pensando che dopo di me nascerà una grande , fraterna, dolce aurora.
Sono la prima domanda e la prima risposta raccolte nel libro “Ho scelto la speranza”…la traccia per il cammino dei giovani e di tutta l’umanità.