televisore gioia e dolore
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
L’invasione dei virologi è il fenomeno mediatico più rilevante di questi tempi forzosamente casalinghi.
E gli onnipresenti chef, più o meno stellati, protagonisti televisivi indiscussi dell’era pre-covid, da circa un anno mordono il freno.
Non di rado litigiosi, talvolta rissosi, talaltra concordi, spesso spiazzanti con le loro opinioni palesemente divergenti (ma si sa, la medicina non è una scienza esatta, posto che una scienza esatta esista), questi ippocratici professionisti finora discreti e poco appariscenti, sospinti dal fato ineludibile sulla multicolore ribalta della cronaca, hanno finalmente trovato - ci sembra – un elemento di tetragona concordia: il vaccino.
Sul vaccino proprio non si discute, non si deve discutere.
Una nota di costume: l’arte del dibattito, considerata, più o meno, il sale della democrazia, quando i tempi si fanno grami e bisogna decidere d’urgenza, cede il posto alle decisioni apodittiche, alle affermazioni oracolari.
Negli spazi mediatici tradizionalmente deputati al confronto, l’opinione diviene unanime assumendo i connotati rassicuranti, ancorché metafisici, della verità. Però - confessiamolo – una tavola rotonda, tra esperti, sul vaccino anti-covid, l’avremmo caldamente auspicata.
Ma senza il rischio di rasentare neanche un po’- ovvio! - la gazzarra politica che non ha mai risparmiato neanche la “sacralità” del Parlamento e che si ripropone esacerbata in questi giorni di travaglio istituzionale tra la maggioranza raccolta a riccio attorno al Presidente del Consiglio Conte e l’opposizione che, con toni spesso poco protocollari, cerca di scalzare i rivali di poltrona, dopo che Renzi “la peste” ha innescato il detonatore della crisi di governo.
La politica è ormai da tempo un mondo parallelo dove la realtà quotidiana sembra avere la parvenza di un riflesso occasionale.
E intanto in America, alla mummia repubblicana succede ufficialmente la mummia democratica, salutata con entusiasmo da mezza Europa (“democratico” è parola che, solo a pronunciarla, mette l’acquolina in bocca). Il discorso di insediamento del neopresidente è stato trasmesso in diretta su Rai1. Siamo riusciti a seguirlo per un po’ ma a spizzichi e bocconi – come si dice - a causa della nostra nativa insofferenza per le predicazioni: abbiamo intercettato riferimenti alla Bibbia, ostentate contrapposizioni tra verità e menzogna, con netta e ovvia presa di posizione a favore della prima, secondo la migliore tradizione del Western hollywoodiano… ma il mitico John Wayne rimane, a tutt’oggi, insuperato.
Sul punto di licenziare il pezzo, ci imbattiamo nella celebrazione del centenario della nascita del PCI sul TG1. Constatiamo, con malcelato fastidio, il tentativo ostinato, esacerbatosi negli ultimi decenni, di imporre una chimerica memoria condivisa, complice l’impiego improprio degli amplificatori mediatici.
Il PCI ha veicolato in Italia l’ideologia più sanguinaria del Novecento. Non va dimenticato, infatti, che la dottrina aberrante della lotta di classe ha provocato più vittime dell’altrettanto aberrante dottrina della razza. C’è ben poco da celebrare.