I poeti de "i grandi dialoghi nel web" Si confrontano con il tema della povertà
La casa del povero
Di Beppe Contini
Tutta l’attrezzatura della cucina
consisteva in sei posate scompagnate,
tre piatti sberciati in uno scaffaletto,
una pentola di terra cotta
per cuocervi ciò che si aveva,
magari il mazzamurru:
pane secco elemosinato in giro
o rubato ai cani dei ricchi,
diviso con il cane di casa,
un meticcio piccoletto
ma fedele e di compagnia,
acqua pura del pozzo,
pomidoro di stagione,
un cucchiaio d’olio e formaggio
solo nei giorni di festa.
Per bracere un vecchio lavamani
di ferro smaltato,
trovato in un letamaio,
per combustibile sterco di bovino,
raccolto e fatto seccare d’estate,
cosa preziosa conservata d’inverno sotto il letto.
Per mobili un tavolo zoppo,
quattro scranni sfondati ed un letto.
L’armadio era un regalo ma era vuoto,
non c’era niente da conservarvi.
I vestiti, estate e inverno,
erano sempre gli stessi.
Le scarpe zoccoletti per tutti
salvo che per il padrone di casa
perché lavorava in campagna.
La luce entrava dalla porta
fatta con quattro tavole
e qualche chiodo.
Di notte una candela di sego,
gialla come l’itterizia,
che affumicava tutto e tutti.
La capra era legata ai piedi del letto,
a fianco la stuoia per il babbo.
Un barattolo di conserva con la fune
per attingere l’acqua dal pozzo.
Nel cortiletto un fosso:
letamaio per tutta la famiglia.
Poveri ma onesti,
non avevano mai dato lavoro
né ai carabinieri né alla giustizia.
La pancia sempre semi vuota
ma in pace con il Babbo e con la Mamma.
Erano stimati da tutti,
non solo nel vicinato.
Erano contenti ed in armonia.
All’imbrunire, tutti assieme,
recitavano l’Ave Maria.
Cercavano l’indomani con la tranquillità
di chi non è debitore di nessuno.