Inverno nelle vene
Di Claudio Bacilieri - Direttore di Borghi
La montagna è un’attrazione fatale. L’inverno è la sua stagione, dura e fredda come le rocce. E il Natale è il posto più bello dove adagiare l’inverno, nei labirinti dell’immaginazione. Se si è fortunati, si ritrova la strada che porta all’infanzia. E il Natale è lì ad aspettare, carico di doni, luci e affetti.
Natale significa venire al mondo, è il mistero della generazione. E se la nascita del Cristo è l’evento che lo determina, ricordiamo che per molto tempo i processi misteriosi della nascita e della fecondità hanno alimentato la venerazione per la maternità. Nelle società antiche questa venerazione si è trasformata nel culto della Dea Madre, origine del mondo e del suo rinnovamento.
All’alba delle religioni, la Terra Madre era la divinità suprema, adorata quasi ovunque.
La montagna richiama queste forze telluriche, soprattutto la montagna a dicembre, nelle notti in cui si sente l’inverno nelle vene.
Ignazio Silone ricorda la leggenda della Sacra Famiglia in fuga negli Appennini, inseguita dai carabinieri, la notte di Natale. Dopo la messa di mezzanotte, le famiglie in Abruzzo accendono il fuoco nel camino e lasciano nelle loro case la porta aperta e qualcosa da mangiare sul tavolo, affinché passando di lì la Sacra Famiglia possa rifocillarsi prima di riprendere la strada. La Sacra Famiglia è sempre in fuga, così come i pellegrini sempre camminano, valicano i monti, sentono fischiare il vento in inverno.
È con queste idee in testa che lasciamo le città invivibili, inquinate, desolate nella chiusura imposta dal virus, e inseguiamo, come scrive Michel Maffesoli (Del nomadismo, 2003), “la dimensione vagabonda di una vita che è allo stesso tempo fecondante, potente, brulicante”.
Per ritrovare il “sapore” delle cose vere non resta che la via di fuga. Un’arte della deriva, ovvero: “svincolarsi per meglio godere della prossimità delle cose”. Lo spazio diventa fluttuante, il tempo si riempie di intervalli, di pause, di soste dove prenderci di cura di noi stessi. Così, senza fretta, senza guardare i post-it con gli impegni appesi in cucina, senza compulsare ogni trenta secondi lo smartphone, entriamo dentro la montagna, l’inverno, il Natale.
Entriamo dentro i paesaggi che ci emozionano, dentro i paesi perduti, i borghi accovacciati dentro una conca, nella valle, o quasi sul punto di scivolare giù, se a sorreggerli è un ripido pendio. Scostando le tende della notte, apriamo la finestra: ci sorprende l’incanto di una nevicata.