La voce di Emmer
Quarta ed ultima parte
di Ruggero Scarponi
La professoressa Wang era una delle vittime preferite.
Tuttavia oltre a segnare un brutto voto o una nota sul registro elettronico di classe, a un automa non restava molto altro come difesa dalle aggressioni.
Reagire con uno schiaffo era interdetto dalle leggi della robotica e se era vero che molestare una professoressa robot era proibito dai regolamenti scolastici che nei casi più gravi prevedevano l’espulsione del colpevole dalla scuola, pure, la magistratura annullava regolarmente tali provvedimenti non essendo riconosciuto ai robot uno status diverso da quello di una macchina e da che mondo e mondo palpeggiare un’automobile non è mai stato considerato un reato.
Più gli altri automi erano presentati come somiglianti agli esseri umani, più aumentava la popolarità del professor Emmer che per essere amato non doveva far altro che mettere in funzione il suo misterioso apparato vocale.
Il Preside si dannava l’anima di fronte ad un simile paradosso e ne ricercava senza sosta la causa, senza dubbio malefica, pensava, che rendeva gradito il professor Emmer a discapito dei suoi più perfezionati colleghi.
A vedere la professoressa Wang muoversi come la più elegante delle fanciulle eppure immancabilmente derisa mentre il professor Emmer era seguito nei rari e goffi spostamenti come un idolo in processione, suscitava nel Preside un’ira e un senso di frustrazione profonda.
Finalmente, però, dopo tanti infruttuosi tentativi, un’equipe di progettisti ottenne ciò che sembrava impossibile.
Un nuovo modello di insegnante androide identico a un essere umano nell’aspetto, nei movimenti e nella voce.
La presentazione avvenne proprio nell’aula magna del liceo cittadino.
Il nuovo modello di robot fu invitato ad esibirsi nella recita di alcuni fra i più celebri monologhi del teatro elisabettiano.
Stavolta non c’erano dubbi, la macchina si muoveva e parlava come un qualsiasi essere umano, o forse, persino meglio.
Il Preside si dette immediatamente da fare per acquisire l’androide e introdurlo nella scuola come insegnante della stessa materia del professor Emmer.
La nuova macchina possedeva davvero tutto per catturare i giovani studenti.
Talmente bello da imbarazzare le ragazze che se lo trovavano di fronte.
Spigliato come il più navigato degli attori in palcoscenico e soprattutto con un tono di voce umana, veramente umana.
Quando un lunedì mattina il Preside uscì fuori dal suo ufficio attirato da un trambusto generale, quasi non poteva credere ai suoi occhi.
Gli studenti come d’abitudine lasciavano le proprie aule per andare a seguire la lezione del professor Emmer.
Ad ascoltare il nuovo arrivato, il perfetto robot, non era rimasto nessuno.
Perdiana sbottò il Preside, ma se non è la voce, cos’è che incanta in quella macchina infernale di Emmer?
Cos’è che incanta?
Ce lo chiediamo anche noi.
Sappiamo solo che da allora il grido angosciato del Preside non ha fatto altro che rimbalzare da un capo all’altro della scuola, senza una risposta.
Una risposta che nessuno avrebbe potuto dare non essendo possibile penetrare certi misteri, come l’amore, l’esistenza o l’infinito.
Intanto, però, il professor Emmer avrebbe continuato a insegnare per chissà quanti altri anni ancora, a dispetto della sua invalidante corpulenza da pupazzo cinematografico anni cinquanta e sempre più amato dai ragazzi.
Senza una valida ragione, o almeno, a noi così sembra.
Ma di questo, mi auguro, ogni lettore saprà trarne la propria personale conclusione.