Una nuova modulazione del riposo
Una stanchezza feconda
Di Claudio Bacilieri - Direttore di "Borghi"
Se il mondo fosse riassumibile in un volto umano, che espressione avrebbe questo volto?
Sarebbe allegro, sorridente, sereno, oppure scuro, accigliato, arrabbiato, stanco?
Gli ultimi mesi hanno accelerato l’introiezione di sentimenti come la paura, il sospetto, la rabbia e - scopriamo parlando con tante persone - la stanchezza.
Sulla stanchezza hanno scritto pagine mirabili letterati e filosofi, come Maurice Blanchot e Byung-Chul Han. In breve, si può dire che essa sia la reazione a un attivismo, a un sovraccarico di stimoli, informazioni, richiesta di prestazioni che, durante il lockdown e anche dopo, sono sembrati non del tutto così necessari.
Milioni di persone ogni giorno, in tutto il mondo, si alzano all’alba, prendono d’assalto treni e metro, intasano il traffico, si riversano sulle città, fanno una pausa veloce con cibo-spazzatura, tornano al lavoro, riprendono treno e metro, arrivano a casa sfiniti, urlano con i figli e il coniuge, vanno a letto, e ricomincia un altro giorno - e poi si scopre che si può benissimo lavorare da casa.
Ora il rischio è che anche il lavoro da casa sia regolato secondo il vecchio modello ansiogeno del turbocapitalismo consumistico, perché sia chi ha il potere sia chi lo subisce non ritiene utile che ci si possa riposare un po’.
Ci si riposa quando si è stanchi e la stanchezza, anziché venir intesa come una reazione negativa, del tipo “non ce la faccio più”, potrebbe diventare una forma di cura.
L’ha detto anche Papa Francesco: la terra ha bisogno di riposare, è stata troppo sfruttata, è stanca, concediamole il riposo che le spetta. Abbandonarsi alla stanchezza per ripensare sé stessi e la propria vita: la stagione migliore per farlo è l’autunno, con le sue luci tenui, le foglie che cadono, l’arrivo del vino e dell’olio nuovi, le inquietudini che un tempo così esitante, incerto, porta con sé.
Una faccia stanca ha bisogno di riposarsi sotto cieli mutevoli, nei boschi a inseguire i colori del foliage, nei borghi dove bellezza e silenzio favoriscono il raccoglimento e il dispiegarsi di veri affetti, in collina o in montagna per trovare il tempo di fermarsi a contemplare la natura che cambia.
È con questo spirito che vi portiamo nei borghi e nei luoghi di cui si parla nella rivista. La speranza è che il movimento di “ritrazione dall’urbano” cominciato con la pandemia, piccolo ma costante, alleggerisca le città rendendole più vivibili e interrompa lo spopolamento dei piccoli centri e delle aree interne, che fino a ieri sembrava inesorabile.