La voce di Emmer
Parte terza
di Ruggero Scarponi
Il professor Emmer lo inquietava.
Aveva la sensazione che l’enorme macchina indovinasse qualcosa dei suoi pensieri, delle sue paure. A volte mentre ispezionava le aule alla fine delle lezioni, era preso da un vago timore ad entrare in quella del professor Emmer.
La vista del gigantesco robot, muto, in un angolo dell’ex garage gli metteva addosso una strana sensazione di pericolo.
Se gli girava le spalle si sentiva osservato, spiato.
Se provava a parlarci il professor Emmer rispondeva in maniera del tutto normale e non lasciava trapelare nulla che potesse suscitare preoccupazione.
Anzi, la voce, calda e profonda del professore dava un’immediata sensazione di calma, di benessere.
È una voce che incanta, pensava il Preside, sorridendo delle sue sciocche paure.
Ma poi ci rifletteva e sentiva che proprio nell’incantamento poteva nascondersi il pericolo di essere inconsapevolmente manipolato, usato per fini ignoti.
Il professor Emmer costituiva per il Preside un vero mistero e una fonte di preoccupazioni.
Non poteva confidarsi con nessuno per non rischiare di essere accusato di paranoia.
Che cosa aveva fatto il professor Emmer da giustificare tale allarmismo?
E poi la popolarità di cui godeva tra gli allievi della scuola sconsigliava di assumere un atteggiamento diffidente, ostile.
Il grande robot troneggiava nel liceo a dispetto dei suoi evidenti limiti fisici.
Ingombrante, traballante, più simile ad un’enorme valvola termoionica di antica memoria che ad un essere umano, non aveva rivali nelle simpatie degli studenti.
Il Preside dovette suo malgrado constatare che era decisamente preferito a ogni altro docente dell’istituto.
Il professor Emmer conquistava ogni giorno di più la fiducia e il cuore dei ragazzi tanto che per non essere mal giudicati anche gli altri colleghi, automi e non, furono costretti a farsi fotografare sorridenti, abbracciati alla gigantesca macchina.
Sul piano delle conoscenze il professor Emmer non era da meno degli altri professori.
La sua memoria era stata ampliata più volte per consentirgli d’immagazzinare tutti i dati reperibili da vari motori di ricerca e nella sua materia d’insegnamento conosceva praticamente tutto.
Sapeva, inoltre, trattare con gli allievi come fosse dotato di una particolare sensibilità.
I ragazzi lo interpellavano di continuo non solo riguardo allo studio ma anche su questioni personali.
Si sa che l’adolescenza è uno stadio della vita piuttosto complicato.
Precede e prepara al pieno sviluppo dell’individuo.
Non è raro che durante quel periodo affiorino conflitti o sboccino sentimenti nuovi accompagnati da forti reazioni determinate da mutamenti psico-fisici.
Per tutti i giovani del liceo, il professor Emmer rappresentava una voce amica, cui si affidavano pieni di fiducia.
A lui confidavano segreti e passioni che non avrebbero rivelato né a un genitore né a uno psicologo. E l’immane macchina ascoltava, ascoltava paziente e poi dava consigli, suggerimenti, cogliendo sempre il nocciolo del problema.
Il professor Emmer in quanto insegnante non era per niente indulgente, anzi, era esigente e severo se necessario e non si faceva scrupolo di redarguire e punire gli studenti svogliati e disattenti.
Delle sue punizioni, tuttavia, nessuno se ne lamentava mai.
Cosa che invece rappresentava un vero problema con gli altri insegnanti, provocando strascichi polemici infiniti che si concludevano soltanto con l’intervento del Preside.
Le professoresse robot erano prese particolarmente di mira dagli studenti che si divertivano a usare nei loro confronti un linguaggio ambiguo e spesso volgare.
Gli automi di ultima generazione erano in grado di comprendere e gestire discorsi di questo tipo ma per quanto riguardava la repressione erano piuttosto impotenti.
La straordinaria bellezza fisica ne faceva, a volte, l’oggetto di molestie, mascherate da finti incidenti involontari.