Il recente annuncio di collaborazione tra Fincantieri e Saipem “per analizzare le potenzialità
dello sviluppo del mercato Deep Sea Mining (DSM), ovvero l'utilizzo sostenibile delle risorse
dai fondali marini oltre i 3.000 metri di profondità” offre lo spunto per indagare cosa sia
lo sfruttamento minerario dei fondali oceanici, in che senso allo stato attuale possa definirsi
una pratica “sostenibile”, quali siano i rischi accertati per l’ambiente oceanico
e quali gli aspetti ancora del tutto sconosciuti.
Fondali oceanici
Si Salveranno gli Oceani dal Green Deal?
Standard rigorosi per evitare un nuovo saccheggio
L’articolo è tratto dal sito della Rete di Resistenza sui Crinali.
Gli scienziati hanno documentato l’esistenza di depositi minerari sui fondali oceanici fin dal 1868, quando una nave ha estratto una piccola roccia contenente minerale di ferro dal fondo marino a nord della Russia, da quel momento i ritrovamenti si sono succeduti anche dai fondali degli oceani Atlantico e Pacifico.
Per più di un secolo gli oceanografi hanno continuato a identificare nuovi minerali sul fondo del mare: rame, nichel, argento, platino, oro e persino pietre preziose, mentre le compagnie minerarie cercavano un modo pratico per poterle estrarre poiché il settore vale potenzialmente molte centinaia di migliaia di miliardi di dollari e potrebbe fornire le materie prime necessarie per tecnologie chiave come batterie, pale eoliche e pannelli solari necessarie per la transizione verso l'economia delle energie rinnovabili.
Le miniere sui fondali marini degli oceani sono, per tutte le nazioni, una competizione commerciale e geostrategica che potrebbe fornire l'accesso a quei minerali "tecnologici" che nel prossimo futuro avranno un valore strategico fondamentale. Finora, è stata effettuata un'ampia esplorazione dei fondali marini ma non è stata ancora autorizzata nessuna attività estrattiva. Ma adesso siamo in un momento cruciale poiché nel prossimo anno verrà negoziato il nuovo trattato globale sull’oceano (Global Ocean Treaty) che potrebbe consentire la creazione di una rete globale di siti protetti, vietando vaste aree delle acque internazionali alle industrie estrattive e fissando standard rigorosi per la valutazione dell'impatto ambientale delle attività minerarie al fine di prevenire il saccheggio dei fondali oceanici globali.