La montagna
di Ruggero Scarponi
Il giovane scalatore raggiunse il belvedere da dove era possibile ammirare in tutta la sua imponenza la grande montagna.
Si stupì di sentire le gambe legnose e un leggero affanno respiratorio per aver affrontato il modesto clivo erboso.
Nondimeno restò molto tempo in osservazione.
Provava un forte disagio. L’allegria che l’aveva condotto fin lassù l’aveva abbandonato.
Si sentiva stranamente solo di fronte al grandioso spettacolo della natura.
Ebbe timore e quasi fu sul punto di fuggire.
Tutto lo studio e l’allenamento cui si era sottoposto in vista della scalata, ora, gli apparivano poca cosa, insignificanti.
Si sentiva soggiogato dal grande bastione di pietra, smarrito, come un bambino.
Più scrutava la montagna più sentiva aprirsi abissi profondissimi dentro di sé.
Provò un senso di vertigine.
Ebbe un capogiro e perse i sensi.
La montagna è tua madre, gli parlò una voce in sogno, ascoltala e confida in essa.
Il giovane scalatore, appena le forze glielo consentirono, tornò al belvedere.
Di nuovo sentì le gambe legnose nell’affrontare il clivo erboso e di nuovo gli sembrò che gli mancasse il respiro.
Era una mattina piena di sole. Il cielo era limpido e l’aria calda smuoveva con delicatezza i petali dei gerani che adornavano i balconcini dell’albergo.
I fili d’erba nei prati rilucevano come preziosi smeraldi.
Tante cose, di tutti i colori, risplendevano sotto il sole.
Il giovane scalatore lasciò vagare lo sguardo nella larga vallata tra antichi paesi e pascoli odorosi.
Lo spinse giù nella più angusta profondità dove l’ombra resisteva tenace alla luce solare.
Poi, facendosi coraggio, si pose tutto di fronte alla grande montagna.
Il cuore gli sussultò violento nel petto.
Un’emozione nuova lo colse impreparato.
Gioia, dolore e pianto lo travolsero d’improvviso e si dovette appoggiare alla balaustra di legno per non cadere.
Quando tornò a guardare di fronte a sé gli sembrò di cogliere un’infinità di voci che si rincorrevano dai granitici contrafforti alla cima della montagna.
Lungo le strette cenge, nelle profondità delle fenditure rocciose, negli oscuri crepacci e sulle impavide rocce riscaldate dal sole.
Vieni e parlami, dicevano le vorticose correnti aeree che discendevano e risalivano i fianchi scoscesi della grande montagna.
Il giovane scalatore si pose in ascolto. Volle inseguire tutte quelle voci. Si sforzò di comprenderne i significati finché non gli sembrò che la montagna gli parlasse con una sola voce.
Tu sei mio figlio e la tua parola può rendermi felice più del cielo limpido, del sole splendente, del volo dell’aquila, del tumulto della valanga della sinfonia dei ghiacci al primo disgelo.
Il giovane scalatore restò pensieroso e facendosi coraggio mormorò a fil di labbra.
Cosa posso dire per renderti felice.
Parlami del mare, sussurrò la montagna.
Del mare, del mare che dall’alto della cima intravedo oltre le coltri nebbiose delle infinite vette, sopra le fumiganti vallate.
Perché lo desideri? Chiese lo scalatore.
Dal mare io sono nata. Ascolta! Nelle rocce, se accosti l’orecchio, ancora puoi udire il brusio ininterrotto dei minuscoli esseri che vi sono racchiusi.
Dalla spuma marina essi sono stati tratti per giungere inconsapevoli al cospetto degli dei come tanti spiriti sollevati fino alle altezze più azzurre del cielo.
Essi non hanno mai cessato di bramare la spuma marina e si addormentano ogni notte al remoto mormorio delle onde.
Il giovane scalatore tornò all’albergo.
Dopo la cena restò a lungo a leggere confortato dalla fiamma gagliarda che ardeva nel camino della cucina.
Quando batté la mezzanotte si ritirò in camera e coricatosi ripensò a quanto gli aveva chiesto la montagna.
L’indomani mattina ristorato da un buon sonno tornò al belvedere e guardando diritto il grande baluardo granitico cominciò la lettura di un libro che aveva recato con sé.
Lesse l’Odissea.
Da solo, davanti alla montagna, appoggiato alla balaustra del belvedere, lesse per alcune ore, ogni giorno, finché, non giunse al termine del poema.
Muta e in ascolto restò in tutto quel tempo la montagna.
Commossa, meditabonda.
Ora, disse sul far del tramonto, vieni figlio mio, tu che hai saputo fare tutto questo per me.
Il giovane scalatore diede un cenno d’assenso e disse che l’indomani mattina avrebbe iniziato l’ascensione.