Specie protetta dalla convenzione di Berna del 1981.
Si stima che ogni anno circa tre milioni di ricci finiscano uccisi lungo le strade europee.
Erinaceus - riccio comune
La strage degli innocenti
Contribuiamo con un po’ di attenzione
a preservare una specie utile
nel controllo della proliferazione di insetti e topi
di Ruggero Scarponi
Quando una nutrita colonia felina s’installò nella grande fattoria, i ricci che l’abitavano da molto tempo, essendo stati introdotti dai vecchi fattori per contrastare insetti e topi, furono costretti ad abbandonare le antiche tane. I gatti, infatti, ne predavano i cuccioli, di cui erano particolarmente golosi, per via della carne morbida e grassa.
Una famigliola dei piccoli animali spinosi trovò scampo oltre la recinzione della fattoria su una banchina erbosa che correva lungo la strada statale.
I gatti non si spingevano fin lì, vuoi perché all’interno della fattoria possedevano tutto il necessario per una vita comoda, vuoi perché era molto pericoloso, a causa dell’incessante transito delle automobili.
Per i ricci incominciò una nuova vita. Subito gli adulti, maschio e femmina, si dettero da fare per scavare la tana che realizzarono in mezzo ad alcuni cespugli di biancospino addossati a un muro di cinta. Al momento, la sistemazione sembrò soddisfacente. Di notte, i ricci uscivano a caccia di insetti e piccoli invertebrati. Di tanto in tanto riuscivano persino a catturare qualche topo o a mettere sotto i dentini aguzzi un torsolo di mela lanciato sulla banchina erbosa da qualche automobile di passaggio.
Avveniva, però, sempre più spesso che nelle scorribande notturne, qualche folata di vento, recasse i profumi di una campagna ricca e rigogliosa che si trovava al di là del terribile nastro d’asfalto.
Per i simpatici animaletti la tentazione era irresistibile. Qualche volta, specialmente gli animali più giovani, si erano spinti fino ai bordi della strada rischiando il lungo musetto appuntito sotto le ruote di qualche automezzo. Tuttavia, la tana sicura e il cibo abbondante, avevano sempre trattenuto i ricci dal tentare la pericolosa traversata della strada statale.
I mesi trascorsero senza particolari avvenimenti. I gatti della fattoria erano troppo pigri per cacciare i ricci al di là del muro di cinta e in assenza di altri predatori, la vita aveva assunto i ritmi lenti e ben scanditi di un prospero ciclo naturale.
Dal mese di aprile fino ai primi di settembre, si consumava la stagione degli amori che portava in famiglia nuove nidiate di cuccioli che ben nutriti e riparati da ogni pericolo crescevano forti e grassi. Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, ai primi rigori del clima, l’intera colonia, dopo essersi abbondantemente nutrita e munita di un consistente strato di adipe sottocutaneo, si predisponeva al lungo e riposante letargo. Così trascorsero due meravigliosi inverni. Finché un giorno, durante il terzo inverno, il piacevole letargo dei ricci non fu disturbato da una baraonda che non si era mai sentita.
Gli animaletti uscirono assonnati allo scoperto in pieno giorno, cosa inconsueta, per degli animali notturni. Subito si trovarono di fronte a un evento inaspettato. Diverse famiglie di consimili avevano invaso il loro territorio. Il baccano che aveva disturbato il riposo dei ricci era dovuto al frenetico lavorio delle zampine dei nuovi venuti intenti allo scavo delle tane. Donde venissero costoro non fu mai chiarito. Fatto sta che il flusso assunse le dimensioni di un vero e proprio esodo. Forse i ricci scacciati da antichi territori da temibili predatori quali le volpi o i grandi uccelli rapaci, erano stati spinti a ricercare nella banchina a fianco della statale una nuova possibile sistemazione.
All’inizio, tra gli invasori, fu una strage. Molti ricci, provenienti da campagne e foreste non interessate dal traffico automobilistico, e del tutto inesperti, finirono miseramente travolti nei tentativi di attraversamento stradale. I profumi della campagna al di là della carrozzabile, portati dal vento, divennero irresistibili per decine e decine dei piccoli animali. In quel periodo intere famiglie finirono sotto le ruote di veicoli di ogni tipo. Tutto questo non arrestò l’ondata migratoria. La vita sulla banchina erbosa divenne difficile per l’antica famigliola che per prima l’aveva abitata. L’enorme afflusso di ricci di specie diverse, aveva depauperato l’intero territorio delle tradizionali fonti di sostentamento. I gustosi invertebrati erano rapidamente scomparsi, così come i topolini o i piccoli rettili di cui i ricci erano esperti cacciatori e golosi divoratori. La scarsezza di cibo spingeva le famigliole più deboli, incapaci di reggere la competizione con altre più agguerrite, al pericoloso attraversamento della statale.
L’esito fu per tutti lo stesso. Poteva accadere che qualche animale riuscisse a schivare uno o due veicoli e superare indenne una carreggiata, ma riuscire nell’impresa di superare tutte e quattro le corsie di cui era composta la strada statale non fu possibile per nessuno.
Sull’asfalto restarono schiacciati sotto le ruote di automobili e camion tutti gli ignari animali che tentarono quella soluzione.
Ma un’altra minaccia si stava avvicinando. Con l’avanzante stagione degli amori le femmine si sarebbero di nuovo ingravidate per dare alla luce ogni sette, otto settimane nidiate di tre, quattro e perfino nove cuccioli. Il cibo già scarso sulla banchina verde sarebbe diventato insufficiente per tutti e il prossimo letargo avrebbe trovato animali magri e deboli incapaci di sopravvivere senza le adeguate riserve.
L’antica famigliola uscita una notte alla disperata ricerca di cibo percepì nell’aria, portati dal vento, una quantità di profumi deliziosi. Profumi di bacche, frutti dolci, larve morbide e topi grassottelli. Di fronte alla penuria del momento il richiamo sembrò troppo forte. Il maschio principale deviò d’improvviso dal consueto sentiero e raggiunse il confine con l’asfalto. La femmina con gli ultimi nati al seguito s’irrigidì, ebbe un tremito e poi di corsa raggiunse il compagno.
Erano dimagriti nelle ultime settimane fino ad aver completamente esaurito il grasso sottocutaneo.
Il vento agitava gli alberi sul lato opposto della strada. Effluvi di tiglio e rosmarino si diffondevano nella campagna. L’antica famigliola si predispose al bordo della statale. Erano tutti allineati, pronti ad attraversare insieme, o insieme morire.
Il maschio provò ad annusare l’aria. La vista non è un senso molto sviluppato nei ricci che si affidano molto più all’odorato. L’odore acre delle carcasse di tanti loro simili disseminate lungo la strada sconsigliava il passaggio. I profumi, invece, seducevano come promesse d’infinito benessere. Delle luci arancioni presero a sciabolare l’aria notturna in ogni senso. Il maschio principale chiuse gli occhietti, poi li riaprì, guardò la femmina e fece il primo passo. Tutta la famigliola si mosse all’unisono. Un passo, due, tre e poi di corsa attraverso la prima carreggiata. Ondeggiando come una piccola marea irta di aculei i nostri amici attraversarono una dopo l’altra le corsie della statale. Fu un profumo fresco e intenso di erba rugiadosa ad avvisare i ricci che avevano compiuto l’impresa. Erano riusciti ad attraversare la strada senza perdere un solo componente della famiglia.
Ora si trovavano dall’altra parte, incolumi.
Subito si spinsero nella campagna per scavare una nuova tana e perlustrare il ricco territorio di caccia.
Sulla statale, invece, dopo aver rimosso le carcasse di due automobili che si erano scontrate, provocando una momentanea interruzione del traffico, i vigili e gli addetti della stradale ripristinarono rapidamente la circolazione.
Altri ricci finirono sotto le ruote degli autoveicoli in corsa.