#268 - 25 luglio 2020
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Fumetto

L'incompiuto "I giorni dell'impero" pubblicata da Nicola Pesce Editore

Gianni De Luca: l'ultimo fumetto

Di
Laura De Luca

E’ un po’ difficile per una figlia scrivere delle opere del padre da un punto di vista critico.

Gianni De Luca: l'ultimo fumettoGianni De Luca: l'ultimo fumetto

Con I giorni dell’Impero Nicola Pesce editore (https://edizioninpe.it/) ha compiuto un’opera decisamente coraggiosa, pubblicando l’ultima opera di mio padre, drammaticamente lasciata incompiuta a causa della morte improvvisa e che nessuno dei suoi colleghi disegnatori, collaboratori de “Il Giornalino” - cui l’opera era destinata agli inizi degli anni novanta del secolo scorso - volle completare, per non sostenere il confronto con il grande maestro.

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Tale fu mio padre, un grande maestro sperimentatore, che del Fumetto contribuì a fare un mezzo espressivo di livello artistico elevatissimo e anche molto complesso.
Insofferente del ghetto nel quale l’arte contemporanea si era gradatamente auto reclusa, mio padre Gianni De Luca aveva intravisto nel Fumetto un mezzo dalle enormi potenzialità didattiche e con innovativa valenza estetica, attraverso cui educare le giovani generazioni non solo a valori e contenuti, ma anche e soprattutto al gusto e alla bellezza. Per questo intraprese e realizzò opere assolutamente innovative, che hanno fatto scuola anche oltre oceano. La sua Trilogia Shakespeariana, pure edita da Nicola Pesce, rompe radicalmente gli schemi classici della tavola a vignette, introducendo il lettore-osservatore nella fluidità dello spazio scenico e teatrale. E ciò avveniva già negli anni settanta del secolo scorso.

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Dopo una serie di prove altrettanto eclatanti e universalmente ammirate (la serie poliziesca “Il commissario Spada”, l’ironico e irriverente Giornalino di Gian Burrasca , tutto destinato sempre a Il Giornalino” , ma il Gian Burrasca riedito poi in volume da Black Velvet), e dopo la gigantesca prova data in Paulus (altra mirabile edizione Nicola Pesce), con l’innovativo affiancamento della doppia tecnica - tempera e china - con I giorni dell’Impero mio padre tornava invece – o meglio sembrava tornare - a una struttura della tavola più tradizionale rispetto alle soluzioni che lo avevano reso celebre. Ma era un “ritorno alle origini” solo apparente. Scorrendo le tavole il lettore-osservatore si trova trascinato nella sequenzialità del tempo in modo assolutamente fluido ed inedito, visto anche il contesto storico ed esistenziale della vicenda, in cui i protagonisti si trovano a viaggiare dalla Roma Imperiale fino alla Palestina, ognuno perseguendo un proprio obiettivo, ma uniti nel simbolico viaggio a ritroso verso le origini della Cristianità, da una sacra reliquia…

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I critici hanno notato poi una decisa evoluzione tecnica in quest’ultima opera, con una intensificazione dei chiaroscuri “grazie a un lavoro di retinatura, spugnatura e puntinatura impressionante che porta il disegno alla soglia di un drammatico ed estremo iperrealismo”: su questa tecnica si sono interrogati in molti, definendola un mistero. Da figlia, io che avrei potuto oggi restituire indizi sulle sue magiche procedure, e dotata di qualche cognizione tecnica, mi rammarico di non avere prestato la dovuta attenzione a quanto si svolgeva su quel suo misterioso tavolo da lavoro. Ma insieme non mi rammarico: forse è giusto che il segreto di ogni artista rimanga tale. Ineguagliabile, Gianni De Luca ha comunque fatto scuola, e a distanza di quasi trent’anni dalla sua morte, è commovente constatare quanti antichi lettori de “Il Giornalino” rimpiangano le sue storie, non solo come un capitolo “colorato” e piacevole della loro infanzia e adolescenza, ma come una straordinaria lezione di arte, miracolosamente ricevuta dalle umili pagine di un giornaletto. Esattamente ciò che mio padre intendeva quando, a questa figlia che lo rimproverava di “sprecarsi” in attività “minori”, rispondeva che la sua missione era educare al bello proprio attraverso i mezzi più popolari e meno elitari del suo tempo. Dunque nessuna mostra in gallerie d’arte spocchiose e tendenzialmente deserte, ma diffusione a mezzo stampa. Oggi avrebbe certamente furoreggiato in rete.
Benché poi di mostre gliene siano state dedicate tante, pur se postume. La più prestigiosa all’Archiginnasio di Bologna, organizzata dall’Accademia delle Belle Arti del capoluogo emiliano nel 2008. La prossima, già programmata per maggio 2020 a Roma alla Centrale Montemartini e purtroppo rinviata a data da destinarsi a causa della pandemia, a cura di ARF! Fumetto, il Festival romano del fumetto.
(www.arfestival.it).

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“Gianni De Luca è stato uno dei più importanti disegnatori italiani, il più innovativo, quello che continuava a studiare anche quando avrebbe potuto farne a meno” ha scritto il critico Luigi Bernardi. Da figlia, mi sono accorta tardi di questa riserva energetica e creativa che passava per una inesauribile curiosità verso il mondo. Ho approfittato poco del suo sguardo innocente e insieme smaliziato sulla realtà. Ma il miracolo è ritrovarlo intatto e sempre attuale, nei suoi capolavori.

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