Modica, in Val Di Noto di Sicilia
Sulle spalle del Gigante
Abitare la Terra. Semplicemente. Insieme imparando a vivere insieme.
Habere, etiam possidere. Esse, ibidem consistere.
Semanticamente, un’identità presunta, artefatta, che domina e modella l’ambiente.
Filosoficamente, identità che nell’ambiente si forma in processo continuo d’osmosi.
In un senso o nell’altro, complemento o predicato che sia, l’habitat ci rende comunque una sua propria, intima, consapevolezza: in sostanza e vicenda;
per giudizio e sentimento.
“Gigante è il nome che si dava a Modica, in Val Di Noto di Sicilia, alla collina della Giacanta, forse per assonanza lessicale o per corretta etimologia; ovvero per entrambe. E tal ci appare, in guisa d’un dio minor sdraiato, benevolo e possente, che ancor pasce gli armenti al capezzale, ed ancor rimembra, dei torrenti alle calcagna,
il fresco farfugliare.
Salire sulle sue spalle - oltre il senso letterale di inerpicarsi per le sue vie alla scoperta di quartieri popolari e tradizionali e di inediti scorci panoramici, di giardini fra dedali di pietra o di monumenti vegliati da mostri, di campagna adornata di selvatichezza primigenia - significa coinvolgere una molteplicità di soggetti d’ogni dove in un progetto liberamente partecipato, far sì che si uniscano e mettano a disposizione esperienze e virtù, competenze e passioni; al fine, disteso temporalmente, di curare, salvaguardare, valorizzare un territorio, magari sconosciuto, magari negletto. Significa intanto aprirne lo scrigno.”
Un’opera corale, di spirito comunitario. Un progetto dell’Umanità per l’Umanità.
Un ossimoro, apparentemente. Perché non v’è - per definizione - comunità che non sia separazione d’umanità: che non ne aggreghi i membri per distinzione di categoria e rivendicazione di titolo. A meno che non s’aggreghi, la famiglia umana, intorno ad una genetica devozione alla natura, una devozione laica, al suo ordine ed alla sua armonia, alle sue leggi come alla sua imperscrutabilità. Scevra d’alcuna pietra filosofale, orba di nova, moderna, illusione.
Peccato tuttavia, che sia la terra ad appartenere agli uomini, i quali, evidentemente, per disporne si e vi faranno la guerra. Disponendo altresì della morte nemica, per espungerla dal proprio orizzonte quotidiano. Concretamente e reciprocamente affermandola in perpetuo. Peccato originale, la protervia. Che non conosce spirito o ragione. La colpa ed il disonore.
Cum repetita optima intentione
Come può alfine, nell’era dell’ingiuria, una passeggiata semplice, originale o ardita, modificare uno stato d’anime, in flusso congiunto di coscienze che muova alla grazia comune ed alla salute planetaria?
Può, quanto un pontificale al dì od un consesso di sapienti. Il coraggio dell’eroe, la miseria dei pezzenti. L’onorata ghigliottina. Il silenzio dell’asceta, mentre il popolo è in fervore. Il naufragio d’un bambino. E la collera del re; la carezza, d’una regina.
Nulla può, se non rovescia il paradigma.
Passeggiare, dunque, per la gioia degli occhi e lo spasso dei piedi.
Muoversi discretamente, per consentire al mondo di manifestarsi.
Parlare col sorriso, con l’afflato, con il gesto o la posa di una mano.
Denudarsi di propria parvenza e pur rimanendo integri ed impuri.
Sporgersi oltre il proprio limite, fino al limite d’altri, e da lì inoltre.
Risentire il palpito della terra. Intuirvi l’orme del passaggio umano.
Ritrovarne segno, cicatrice, conio, l’opere d’arte e quelle di mestizia.
Riconoscere l’eguale gloria e la caducità di una foglia dell’universo.
Rinvenire la fortuna della esistenza mentre scorre nel tempo infinito.
E commuoverci, ammirati ed increduli del fervore della immensità.
Noi cittadini del mondo, di vari lidi e storie, di vari affanni e amori.
Insieme provando a camminare insieme e non solamente accanto.
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