Un giorno nuovo alla vita
Ho scoperto un Borgo
Una suggestione di Lello Ruggiero
Il vento spazzava le stradine tortuose del borgo, foglie morte di sparuti alberelli piantati nel minuscolo spiazzo davanti alla chiesa, mulinavano nell’aria sempre più in alto e scomparivano con un ultimo svolazzo dietro un tetto, una torretta, un comignolo.
Le case, abbarbicate al fianco del dirupo, erano state abbandonate in fretta e furia a causa di un terremoto o di una frana, di una carestia… chi sa? Addossate le une alle altre in fragile equilibrio, erano solcate da profonde crepe verticali. Molti tetti pendevano sbilenchi, mantenuti miracolosamente in bilico dai tubi delle grondaie.
Lo stanco viandante, ivi giunto che era quasi sera, scelse per riposare la casa che gli sembrava più solida. Il portoncino era socchiuso, come se il proprietario fosse uscito per comprare qualcosa in piazza e non avesse più fatto ritorno. Entrò esitante, e si ritrovò in uno stanzone con le pareti e il soffitto anneriti dalla fuliggine di un enorme focolare. Al centro un tavolo con quattro sedie e, addossata alla parete, una madia. Appesi, dietro alla porta, un mantello di lana nero impolverato e un cappellaccio sformato. In un angolo, una ripida scala s’inerpicava verso il piano superiore.
Si stese per terra, il cappello a fargli da guanciale, e si addormentò profondamente.
La mattina dopo, s’incamminò di buonora verso la chiesa, nei cui paraggi, nell’arrivare il giorno prima aveva avvistato un pozzo. Calò giù il secchio ancora attaccato alla carrucola, e lo ritirò pieno d’acqua fino all’orlo. Cominciavano a piacergli sia quel paesino abbandonato che i piccoli comodi che gli stava offrendo; aveva trovato perfino una scatola di fiammiferi poggiata sul tavolo e un lacrimoso mozzicone di candela in un cassetto.
Dove se n’erano andati in fretta e furia gli abitanti?
Avrebbe dovuto frugare in tutte quelle casette cadenti, cercare oggetti, indumenti, ritratti appesi al muro; ogni cosa dimenticata che potesse fargli comprendere gli usi, le tradizioni, l’anima, il perché di chi vi aveva vissuto per generazioni e ne era poi fuggito.
Affascinato dalla suggestione e dal mistero di quel luogo, decise di fermarsi definitivamente a vivere là, in mezzo a quelle pietre stanche; rese cieche, mute e sorde dall’abbandono. Di lavoro da fare ce ne sarebbe stato tanto: ripulire, restaurare, rimettere in sesto vie tetti muri, riappropriarsi della campagna, coltivare, produrre senza inquinare, organizzare una comunità di donne, uomini, vecchi, bambini, animali, alla ricerca di un possibile modo d’essere alternativo…
Un dolce sogno dal sapore di nostalgia, un sentimento che, al contrario dello sterile rimpianto, spinge a riappropriarsi di ciò che era bello ed è andato perduto…
Tra un pensiero profondo e un altro meno, quasi inavvertitamente si era avviato lungo i ripidi acciottolati del borgo e ne era giunto alla sommità, proprio nel punto in cui si ergeva una croce di ferro che, nella luce del crepuscolo, proiettava sulle gobbe del terreno un’ombra lunga e ondulata come un pitone. Seduto sul primo gradino del basamento di pietra, gli occhi socchiusi a fissare il sole che lentamente s’inabissava a occidente, costrinse la mente a vuotarsi di ogni preoccupazione contingente…
Aveva finalmente trovato il luogo ed il tempo per animare plasticamente lo scenario di vita futuro che cercava invano… da quando era fuggito dalla città… D’incanto l’incolta arruffata campagna sotto di lui si trasfigurò: filari di alberi da frutta, orti, boschi, macchie fiorite, pascoli. E qua e là bianche fattorie, mandrie, casolari, ovili, stalle…e piccoli opifici brulicanti di attività… e le rotaie di un treno che si perdevano verso l’infinito… verso altri possibili mondi simili a quello che, nella sua immaginazione, già si stendeva idilliaco e sereno ai piedi dell’antico borgo.