#257 - 22 febbraio 2020
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Televisione

Zapping

Frammenti semiseri di cronaca televisiva

di Luigi Capano

“Il giorno della memoria”, “il giorno del ricordo”, “per non dimenticare”, “la memoria condivisa”, “la memoria collettiva”
Non passa giorno che qualcuno – dal Presidente della Repubblica al giornalista del più recondito anfratto televisivo – non menzioni – di passata o con l’enfasi delle occasioni solenni – quel misterioso luogo della nostra psiche che ha qualcosa a che fare con la percezione della nostra identità: il luogo deputato ai ricordi, la memoria appunto.

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Il ricordo è una forma di incontro, sentenziava l’esteta mistico Kahlil Gibran. Per saperne di più su questo misterioso e onnipresente “organo” che in qualche modo ci definisce e ci condiziona, con la curiosità compulsiva che ci caratterizza, abbiamo deciso di fare una ricerca sommaria nei ripostigli del web – altro luogo della memoria, sconfinato e caotico- e abbiamo quindi scovato, tra i video di YouTube, un frammento di Ulisse - vecchio di alcuni anni- il programma di divulgazione culturale del bravo Alberto Angela che espone un’indagine sulla memoria dal punto di vista della scienza ufficiale, com’è costume di Alberto e del celebre padre Piero. Apprendiamo così – ma già un po’ lo sapevamo- che ad imprimersi nella memoria è soprattutto ciò che coinvolge la nostra emotività e che, comunque, i ricordi (quelli detti a lungo termine) tendono col tempo ad affievolirsi a meno che non vengano richiamati alla mente con una certa frequenza. Ma qui - aggiunge la voce bene impostata fuori campo, mentre scorrono alcune immagini - si nasconde un' insidia. E la narrazione comincia a farsi interessante. Perché – ci viene spiegato - nel richiamare un ricordo, inavvertitamente lo rielaboriamo. E dunque ricordare non è come riguardare una fotografia ma piuttosto come ricopiare un disegno: possiamo compiere degli errori, inserire nuovi particolari o cambiare i colori. “Ogni volta che ricordiamo qualcosa in qualche modo manipoliamo i ricordi” - commenta Angela - “ma allora quanto sono affidabili le nostre memorie? E sono credibili i testimoni?” Segue un intervento del neuroscienziato Piergiorgio Strata: “Ci possiamo fidare della nostra memoria?” - si domanda – “ci possiamo fidare ma dobbiamo stare attenti: prima di tutto perché possiamo sbagliare, e poi soprattutto quando vogliamo la verità da qualcuno, dobbiamo evitare di forzarla. Si è dimostrato che il modo di interrogare della polizia, come quello dello psicoanalista, spesso tende a forzare la memoria e a indurre, di conseguenza delle false memorie”.

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In conclusione, abbiamo più dubbi di prima sull’affidabilità del nostro prezioso strumento ma ci sembra di aver capito che lo spazio della memoria ognuno lo arrederebbe volentieri a suo modo senza lesinare estro e creatività e che la meccanica ripetizione e riproposizione di concetti o di immagini da condividere collettivamente avrebbe la funzione sociale di ritinteggiare periodicamente le pareti onde evitare inaccettabili originalità.

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