Un ‘raccontino’ quasi in stile ‘gattesco’, brani di un viaggio insolito tra la gente della Turchia
che penetra nell’Asia, dfi quel mix di popoli, storia e culture
e che le scelte politiche di Erdogan rischiano di cancellare o isolare dal resto del mondo.
I popoli dell'Arca
Supplenti involontari di Gatto randagio
Di Ennio Remondino - Remocontro
Tra Anatolia, Mesopotamia e Ararat Anatolia e Mesopotamia che si incontrano e si confondono, col monte Ararat lontano sullo sfondo, imperioso per l’Arca biblica che nasconde e terribile per i suoi 5000 metri di roccia e ghiaccio, a vigilare sulle terre dove nascono il Tigri e l’Eufrate. Le sorgenti dei fiumi dell’Eden raccontate, nel nome di Abramo, in religioni, lingue e popoli diversi. La terra dei curdi di Turchia
Le mura che circondano Diyarbakir sono imponenti e sembrano infinite. Cinque chilometri e mezzo di muraglia in basalto nero intervallato da torri a circondare l’antico abitato, protezione dall’infinito altopiano anatolico che le si apre di fronte senza alcun ostacolo naturale. Soltanto ad est, dove il fiume ha scavato il suo letto, quelle mura si levano sulla roccia e si specchiano nel Tigri che scorre in basso. E’ l’esibizione della potenza di Roma voluta dall’imperatore Costanzo a metà del 300 dopo Cristo. Baluardo dell’impero già allora destinato a sopravvivere soltanto in questo oriente. Prima, durante, dopo, infinite altre presenze, altre conquiste, altre guerre. Quando nacque col nome di Amida, questa città era parte dell’impero assiro, poi i medi e poi i persiani. Dopo gli architetti romani delle mura possenti, vennero i sassanidi, i bizantini, i mongoli di Tamerlano ed infine i turcomanni. Tutti a dominare una terra abitata dal tempo dei tempi dal popolo curdo. Scegliendo la via degli antichi viandanti, riferimento d’obbligo è il caravanserraglio. Quello di Diyarbakir ha esattamente gli anni della conquista ottomana da parte di Selim I. All’interno, 500 anni dopo il sultano, il ricovero per le carovane lungo una delle tante vie della seta è diventato albergo. Punto di riferimento consigliato per chi voglia affacciarsi ad una storia tanto complessa e tormentata con il dovuto riguardo. Le mura esterne realizzate a fasce di pietra chiara e scura alternate, si aprono in un enorme cortile con al centro l’abbeveratoio, oggi fontana. Oltre gli archi che reggono le costruzioni sovrastanti, sono ad altezza di cammello, con tutte le comodità per cavalli ed asini. Oggi, oltre la hall alberghiera, trovi ristorante e negozi di souvenir. Le stanze sopra, che seguono il quadrato del sortile interno, risparmiano lo spazio concesso agli umani con porte basse, salvo quelle destinate ad ospiti illustri che accolgono con un arco che non obbliga all’inchino. Fuori dal fortilizio, il primo bazar di strada ed il suo mondo colorato e vociante. Torme di ragazzini attorno, dagli avi infiniti: Arabi, Armeni, Assiri, Azeri, Ebrei, Osseti, Persiani, Turchi e Turcomanni. Un frullato di popoli e culture omogeneizzate oggi nella cittadinanza turca d’obbligo e nella lingua curda di consuetudine. Lingua indoeuropea vicina al persiano, la sola lingua che conoscono. Il turco arriverà per i ragazzini, tra difficoltà a scapaccioni, soltanto con la scuola. Ciò che resta di più lontane e diverse origini è spesso memoria nascosta patrimonio esclusivo degli anziani. Il curdo era, sino a pochi anni, fa vietato per legge fuori dell’uso familiare. Oggi lo senti persino in televisione. Anche se poco, troppo poco e molto molto controllato. La Turchia moderna, lo stato nazionale nato alla fine della prima guerra mondiale dalle ceneri dell’impero ottomano, ed i suoi 15, forse 20 milioni di curdi. Anche sui numeri si litiga. Ankara a sottrarre, Diyarbakir a moltiplicare. Vietato censire quelli che sino a pochi anni fa erano ufficialmente definiti “Turchi delle montagne”. Lo stesso linguaggio per affrontare il tema è dunque cosa complessa. Chiedi qui dei territori turchi a maggioranza curda e loro ti rispondono con “Kurdistan”, che per Ankara è una bestemmia contro l’unità dello stato. Le parole che danno significato ai fatti. Troppo poche, per i curdi di Turchia. Diyarbakir si qualifica come “capitale” della identità curda, col suo milione di abitanti. In realtà prima di lei vengono certamente Istanbul e, probabilmente Berlino, come città curde. Popolo di migranti da sempre, partendo dalle origini pastorali sino alle più crudeli fughe dai villaggi coinvolti nelle azioni armate tra indipendentisti ed esercito. “Fascia di sicurezza” è stata chiamata dai militari di Ankara, ed è stato lo spopolamento di interi villaggi e territori ai confini con le altre terre di curdi e di guerriglia, oltre i confini con Siria, Iraq e Iran. […] Gita fuori porta, da Cizre verso il confine con l’Iraq lungo la statale che costeggia il Tigri e la Siria che vedi oltre il fiume. Strada intasata di autobotti dirette ai pozzi petroliferi iracheni. La Siria alla tua destra, l’Iraq di fronte e, oltre qualche montagna, a sinistra l’Iran degli Ayatollah e la bomba atomica che loro non hanno. Tutto attorno, dispersa tra quei quattro diversi Stati, la popolazione curda delle origini. Da queste parti la storia insegue la geografia. Alle sorgenti dell’Eden
Alle sorgenti dell’Eden, dove si raccolgono le acque del Tigri e quelle dell’Eufrate. Nomi magici per la memoria del mondo. Nascono ambedue nella Turchia dell’altopiano, dove l’Anatolia, ad est, scivola in Mesopotamia e vi si confonde. Sorgenti lontane tra loro, prima che i due grandi fiumi si ritrovino, migliaia di chilometri dopo, uniti a sud di Baghdad per annullarsi assieme nel golfo arabico. Il Paradiso terrestre della Bibbia, ci dicono molti storici, originato dalla fertilità della sua terra e l’abbondanza dei suoi raccolti. L’Eden che soltanto quel liquido prezioso, l’acqua, può donare all’uomo. Quando l’uomo ha scoperto un altro liquido sottoterra, maleodorante per giunta, e infiammabile, quel paradiso, sappiamo, è diventato inferno. Ma questa è attualità. Alla ricerca dell’Eden perduto, abbiamo deciso di iniziare il nostro percorso dal villaggio di Hasankeyf, dove l’uomo è presente da 12 mila anni, dicono gli antropologi. Le acque sempre ricche del Tigri a dare ragione e vita a chi ha abitato le migliaia di grotte che segnano le rocce incombenti sull’abitato e il fiume. Paesaggio da film di Zeffirelli dove le greggi di pecore nere che vedo sullo sfondo, vigilate da pastori a dorso d’asino e i pescatori che lanciano le loro reti come faceva il Pietro pescatore in Galilea, sempre ti riportano alle origini dell’uomo. I resti della fortificazioni sulla cima ci raccontano come questa parte della Mesopotamia è stata contesa tra mille popoli. Una sovrapposizione di civiltà e culture le cui tracce seguono il grande fiume che di tanta storia è stato padre e madre. Oggi restano soltanto i piloni e una arcata dell’antico ponte che per 900 anni ha sfidato il fiume. L’orgoglio della capitale artuchide, che fu Hasankeyf nel XII° secolo. Fantasmi di una dinastia scomparsa assieme alla sua grandezza. Su una sponda la tomba solitarie di Zeynel, giovane figlio di principe, e quella di un discendente diretto di Maometto. Luogo sacro per la fede musulmana. Di fronte, al centro del villaggio, svetta il minareto della moschea El-Rizk. E’ quella torre antica e sottile torre l’obiettivo di questo viaggio. Da guardare attentamente. All’altezza dell’ultimo terrazzo, dove il muezzin si affacciava per cantare i versetti del Corano ed invitare alla preghiera, dovrebbero arrivare le acque del Tigri, raccolte da una diga. Di quanto abbiamo visto, rimane soltanto la sommità del minareto con il suo nido di cicogne che ne sovrasta la cupola tondeggiante. […] L’acqua del Tigri e dell’Eufrate, vitale per Siria ed Iraq, come oggetto di scambio. Appoggio antiterrorismo, per esempio. L’eterna questione del separatismo curdo. “Acqua contro curdi, curdi contro acqua” si è arrivati a dire. […]