2019: Anno Internazionale delle lingue indigene promulgato dalle Nazioni Unite
26 settembre: Giornata Europea delle lingue autoctone
Casa generalizia Missionari Comboniani - Roma
10 ottobre - 20 dicembre 2019
LingueMissioneMemoria
Il contributo dei Missionari Comboniani allo studio e alla preservazione
delle lingue locali nella loro opera di annuncio del Vangelo.
Il 2019 è stato proclamato dall’ONU anno internazionale delle lingue indigene e, sul suo portale, si legge: «Le lingue svolgono un ruolo cruciale nella vita quotidiana delle persone, non solo come strumento di comunicazione, educazione, integrazione sociale e sviluppo, ma anche come deposito per l’identità unica di ogni persona, la storia culturale, le tradizioni e la memoria».
Inoltre Papa Francesco, per celebrare il centenario della Lettera apostolica di Papa Benedetto XV Maximum Illud (30 novembre1919) - considerata la magna charta dell’attività missionaria in epoca contemporanea - ha voluto che il mese di ottobre 2019 fosse un Mese Missionario Straordinario.
Questi due eventi hanno stimolato la domanda su quale sia stato l’apporto dei Missionari Comboniani nel loro compito di evangelizzazione, allo studio, preservazione e arricchimento delle lingue indigene, in particolare delle lingue di quei popoli in Africa, soprattutto nel Sud Sudan e in Uganda, con cui i missionari hanno vissuto, lavorato e ai quali hanno donato la propria vita.
L’incarnazione del Vangelo nella cultura locale infatti incomincia proprio dalla lingua, porta alla ricchezza della cultura del popolo, veicolo indispensabile per trasmettere il messaggio di salvezza che è stato affidato al missionario.
Il vasto contributo dei missionari comboniani spazia su diversi campi: dagli studi linguistici ed etnologici a lavori che si accompagnano alla traduzione negli idiomi locali di catechismi, libri liturgici, testi scolastici, raccolte di racconti popolari, proverbi, miti, ecc.
Nella prima metà del secolo scorso i Missionari Comboniani avevano prodotto - oltre a studi specialistici disseminati in vari articoli per riviste e libri - 63 grammatiche, 88 vocabolari, 114 catechismi, 23 libri di Storia Sacra, 54 libri di preghiere, 137 testi scolastici: sillabari, libri di lettura, aritmetica, storia, geografia, igiene, ecc.
Questa vasta produzione non è stata il frutto di singoli religiosi, per quanto competenti ed eruditi possano essere stati, ma di un lavoro che si nutriva del contatto quotidiano con la gente, delle domande poste, dell’ascolto attento e dell’osservazione appassionata, cioè di un dialogo condito da stima e apprezzamento per le popolazioni del luogo.
Sarà poi la nuova generazione di studiosi locali che proseguirà e perfezionerà il lavoro iniziato dai missionari.
Una traduzione fa sì che una lingua si arricchisca di nuovi termini, ma non solo: essa stimola le persone (sia i missionari che le popolazioni locali) ad incontrare nuovi mondi culturali e religiosi favorendone l’assimilazione dei valori e incoraggiando il superamento delle barriere dell’etnocentrismo e l’ampliamento dei propri orizzonti mentali. L’incontro diventa così fecondo scambio interculturale.
La mostra bibliografica è divisa in sei sezioni: catechismi, grammatiche/dizionari, testi di Storia Sacra, testi liturgici, testi educativi e musica.
Naturalmente, è stato necessario operare una selezione ed esporre solo alcuni dei numerosi e preziosi materiali presenti nella Biblioteca centrale e nell’Archivio dei missionari comboniani di Roma.
La mostra è corredata da una selezione di immagini d’epoca affiancate da testimonianze dei missionari e da mappe storiche dei territori dove questi operavano.
Le parole di un missionario comboniano, p. Roberto Pazzi, specialista della lingua Ewè del Togo, descrivono in modo sublime questo sforzo di apprendimento e di traduzione: «Per noi occidentali oggi, la conoscenza di un linguaggio africano richiede anni di impegno: studiare e praticare la lingua, farsi iniziare al simbolismo delle diverse forme letterarie, interrogare gli anziani circa le tradizioni di cui sono i custodi... Questa iniziazione al «linguaggio» africano non avviene che attraverso la rinuncia a tante forme esterne della civiltà occidentale, che si sono imposte a noi inconsciamente con la tenacia di un mito.
È duro crocifiggere la propria indipendenza nell'esprimersi, per assimilare una sensibilità diversa, e riconoscere i limiti, spesso angusti, dei nostri criteri scientifici ‘oggettivi’, per apprezzare una cultura dove il pensiero si svolge nel simbolo e la parola porta una virtù incantatrice».