#232 - 21 dicembre 2018
AAAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarr in rete fino alla mezzanotte del giorno sabato 30 novembre quando lascer il posto al numero 358 - BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, pu durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni pi importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perch" (Mark Twain) "L'istruzione l'arma pi potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perch i servizi sanitari siano accessibili a tutti. Papa Francesco Il grado di civilt di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bens nella capacit di assistere, accogliere, curare i pi deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civilt di una nazione e di un popolo. Alberto degli Entusiasti "Ogni mattina il mondo un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosit, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
turismo tempo libero

Pedalate lungo le strade dell'isola in inverno

Sardegna in bicicletta

Dal diario di Paolo Pinzuti per Bikeitalia

Sardegna in biciclettaSardegna in bicicletta

La Sardegna è uno di quei luoghi che, in qualche modo, sono riusciti a dribblare le pagine dei libri di storia che ci fanno studiare sui banchi di scuola.

La scelta di percorrere in bicicletta la Sardegna è stata quindi dettata da un forte desiderio di avventura e di confrontarsi con l’ignoto. Decidiamo di partire con un bagaglio minimo: una borsa sottosella (Cluster di Miss Grape) ciascuno con una capienza di 20 litri e una borsa al telaio (la Internode di Miss Grape) di non precisata capienza. Il tutto montata su delle Focus Paralane da corsa.

Partiamo in nave da Genova con una sporta piena di focaccia per sopravvivere alla lunga notte in nave. Il viaggio trascorre bene per me che ronfo beatamente per tutta la traversata, un po’ meno per Pinar che all’indomani mi racconta di un mare molto agitato.

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Giorno 1
Scendiamo dal traghetto a Olbia dopo una notte sballottata. Il maestrale ci dà il benvenuto assieme a una pioggia insistente.
Ci muoviamo subito verso nord, fino a lambire Golfo Aranci. Sopra di noi il cielo è aperto e splende il sole, ma in qualche modo piove e a occidente si staglia un arcobaleno che ci accompagna per quasi tutta la giornata.
L’asfalto è eccellente e le gambe girano bene. Il traffico è praticamente inesistente, ma il vento non molla mai e alla fine della giornata ha piovuto almeno una dozzina di volte.
Pioggia di ogni tipo: delicata, violenta, ghiacciata, di traverso.
Ma il paesaggio è tanto spettacolare e variegato che ce ne freghiamo e tiriamo dritti affascinati dai cambi continui di vegetazione e ambienti.
I villaggi che incontriamo sono deserti. Anche Porto Cervo che d’estate attira milioni di persone affamate di celebrità, si presenta ai nostri occhi come un outlet di lusso abbandonato da tutti.

Qui facciamo una pausa pranzo pessima e costosa, ma sufficiente per scaldarci un po’ e recuperare le energie per continuare verso nord.
Brevi salite si alternano a discese che non riusciamo a goderci a causa del vento.
Scegliamo strade secondarie che ci premiano con scorci su paludi inaspettate e la celeberrima Costa Smeralda che non tradisce le aspettative.

Ora del tramonto siamo a Palau dove ci aspetta un traghetto per La Maddalena. Appena sbarcati il tempo è infame, ma il miraggio di una doccia calda ci fa passare la stanchezza e resistiamo.
Chiudiamo la giornata con 95 km e 1200 m di dislivello.

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Giorno 2
La sveglia suona presto. Il tempo di fare colazione e siamo in strada per esplorare La Maddalena e l’isola adiacente, Caprera.
Caprera è un’isola completamente disabitata se non dai cinghiali e da qualche militare che presidia il territorio.
Il mare è blu e in lontananza si vedono le vette innevate della Corsica. Tutt’intorno è macchia mediterranea ed è facile capire perché Garibaldi abbia deciso di trascorrere qui gli ultimi anni della propria vita.
Trascorriamo qui più tempo del dovuto e prendiamo il traghetto per tornare a Palau che è quasi mezzogiorno.
Da qui scendiamo verso sud, verso Arzachena che è letteralmente abbarbicata su una montagna di granito. Mangiamo qualcosa al volo in centro e si procede verso ovest sfidando il maestrale, in direzione di Luogo Santo.

Conoscendo la cultura cattolica capiamo subito che raggiungere un villaggio con un nome simile non sarà facile. La strada provinciale 13 è un continuo saliscendi e passa per centri archeologici che possono raccontare storie vecchie di millenni.
Luogo Santo è quanto mai grazioso, ma tutti i negozi che dispensano cibo sono chiusi. Ingurgitiamo una barretta energetica e proseguiamo rapidi in discesa.
Il cielo si è fatto scuro e nuvoloso. La mancanza di luce spegne il paesaggio attorno a noi di cui riusciamo ad apprezzare il lato selvaggio fatto di granito e querce da sughero. La strada sale e il vento è una maledizione. Spingiamo forte sui pedali contando i km che mancano per arrivare Tempio Pausania prima che faccia buio.

Arriviamo in città con le gambe pesanti e con un forte desiderio di una merenda colossale a base di prodotti locali e vino.
La città è incantevole, interamente fatta di granito. Ma appena arrivati inizia a piovere.
Ci rifugiamo nel B&B per una doccia bollente e un momento di meritato riposo.
84 km, 1376 m di dislivello.

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Giorno 3
Tempio Pausania scopriamo essere il paese in cui Fabrizio De André prese la residenza per un periodo della propria vita. Qui, addirittura c’è una piazza a lui intitolata e c’è un auditorium costruito da Renzo Piano in onore del grande cantautore genovese. Canticchiando +il bombarolo, la guerra di piero e la domenica delle salme* prendiamo la S127 che è una vera delizia per gli occhi e per le gambe. Il solito vento ci sferza e ci costringe a mantenere velocità moderate anche in discesa per evitare di essere sbattuti in mezzo alla strada o fuori. Il sole, quando non si nasconde dietro le nuvole ci scalda molto, costringendoci a coprirci e scoprirci di continuo. Arriviamo a Perfugas un po’ sudaticci e la pausa al caffè della piazza con annessa seconda colazione è l’occasione per far asciugare i vestiti. Il paese è grazioso e un po’ addormentato, nell’attesa che arrivi l’estate e il grande flusso di turisti. Da Perfugas torniamo indietro per un paio di km e prendiamo quindi una strada secondaria che punta a nord. Nel frattempo si è aperto il cielo e il vento si è ammorbidito.

Qui la strada che sale ci offre uno dei paesaggi più belli che abbia mai visto.
Dribliamo verso una stradina laterale in cui ci concediamo anche un po’ di sterrato, prima di incontrare un pastore e le sue pecore, la cui visione ci riporta indietro nel tempo, ma la visione termina non appena tre giganteschi pastori maremmani iniziano a inseguirci abbaiando per farci notare che siamo usciti un po’ troppo da dove ci era concesso.
La discesa aiuta la nostra fuga e ci ridiamo su. Passiamo da Santa Maria Coghinas e con quattro pedalate siamo ormai tornati sul litorale, a Valledoria dove incontriamo un baracchino a bordo strada che vende frutta fresca. Mangiamo qualche arancia mentre scambiamo qualche battuta con il proprietario che ci racconta dei suoi trascorsi a Milano e di come non riuscisse a reggere la pressione del capoluogo lombardo. Pedaliamo gli ultimi km verso Castelsardo che è un vero incanto: una struttura difensiva abbracciato da un paese fatto di rocce e, oggi, ristoranti e negozietti per turisti.
Dopo la merenda ci accomodiamo al b&b dove aspettiamo i festeggiamenti per il capodanno in cui si esibiranno gli Elio e le Storie Tese. 60 km.

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Giorno 4
Dopo un capodanno sobrio a Castelsardo con un memorabile concerto degli Elio e le Storie Tese, la mattina ci mettiamo in strada quando ancora tutti dormono. Il mare è in tempesta e il maestrale soffia con brutale energia contro di noi.
Il cielo è grigio, ma non fa particolarmente freddo. È solo che, per quanto noi spingiamo sui pedali, procediamo a passo di lumaca, anche per contenere le pericolose raffiche laterali che rischierebbero di buttarci in mezzo alla strada. Per fortuna le auto in strada sono pochissime.
Fino a Punta Tramontana è una specie di incubo, ma poi, non appena la strada volge a sudovest e iniziano le salite, le cose peggiorano: dal movimento centrale arriva un sinistro scricchiolio che si trasforma in cigolio e diventa alla fine un gioco latitudinale della guarnitura che ci preoccupa.

Ci fermiamo per un caffè in un bar a Sorso dove un anziano signore ci informa che secondo la cultura sarda l’eccesso di vento è causato da un eccesso di cornuti in circolazione. Ridiamo assieme e ripartiamo.
All’altezza di Sennori cerchiamo riparo in un bar dove un simpatico vecchietto si propone di risolvere il problema a suon di martellate. Ringraziamo e decliniamo l’offerta. Continuiamo oltre fino a incontrare un ragazzo che ha gli attrezzi che servono per smontare la guarnitura. Appena rimossa, la scatola del movimento centrale inizia a rigurgitare biglie come se fosse reduce da chissà quali bagordi alcolici. Il cuscinetto è andato e la guarnitura ha un gioco fastidiosissimo.
Sono giorni di festa e so che non si troverà un ricambio a pagarlo oro. Ci tocca pedalare oltre.
Mancano 10 km a Sassari.

La bici regge bene allo stress e decidiamo di continuare nonostante il vento ostinato e contrario. Il paesaggio è una distesa infinita di ulivi e sopra alla testa c’è un’altrettanto infinita distesa di nuvole minacciose. Per fortuna non piove e ci dobbiamo accontentare di un vento a 50 km/h che riusciamo a evitare solamente intrufolandoci tra le salite e le discese della SS 127 bis.
Impieghiamo 2 ore per percorrere i 32 km che portano ad Alghero.
L’arrivo ci premia con un tramonto straordinario che illumina una città che nessuno ci aveva detto fosse così bella. Domani risolveremo il problema del cuscinetto a sfera mancante.
75 km, 1050 m di dislivello.

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Giorno 5
Al risveglio l’aria è frizzante e tira il solito maestrale a 50 km/h. Per noi è una buona notizia perché procediamo verso sud sulla strada verso Bosa.
Prima di metterci in cammino andiamo a risolvere il problema meccanico di ieri: sostituzione del movimento centrale e si parte.
La strada è un vero incanto.
Sulla destra c’è il mare in burrasca che spumeggia sotto di noi, sulla sinistra, rocce e macchia mediterranea sotto un cielo azzurrissimo.
La strada è un continuo saliscendi, ma con il vento in poppa anche le salite pesano meno. Bruciamo i 44 km fino a Bosa in due ore e a un certo punto ci sembra di vedere sopra di noi un grifone, un rapace rarissimo che nidifica nella zona.

Arriviamo a Bosa con una fame da lupi e le borracce vuote. Ci sediamo a un ristorante che ci scodella due giganteschi piatti di pasta al sugo d’agnello e ai carciofi. Ci rimettiamo in sella e, senza sapere neppure perché ci dirigiamo verso la città di Macomer, verso l’entroterra dove abbiamo deciso arbitrariamente di pernottare perché “quando allo zingaro gli gira, gira”.
Bosa è una cittadina deliziosa, colorata come le 5 terre, ma adagiata sulla foce di un fiume e tenuta sotto controllo da un castello imponente. Da qui si sale.
Con la pancia piena siamo un po’ in difficoltà : le energie non mancano, ma le gambe sono dure. La strada si iberica in pochi km dal livello del mare fino a 300 metri con strappi anche al 12%. Da qui ci ritroviamo ad approcciare l’altopiano lungo una strada che spesso dà l’idea di essere in discesa, ma che invece continua a salire.

A destra e sinistra, campi, pascoli, lecci, querce da sughero e muretti a secco a perdita d’occhio. Il vento, gentile, continua a sospingerci.
Dopo 30 km senza pause arriviamo finalmente a Macomer che è ormai il tramonto. Fa freddo e, raggiunto il B&B, ci buttiamo sotto una doccia bollente. Segue cena in cui facciamo la conoscenza delle sebadas, dei tortelloni fritti ripieni di formaggio e ricoperti di miele.
76 km percorsi, 1500 m di dislivello.

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Giorno 6
Al nostro risveglio mettiamo il naso fuori dal b&b e veniamo investiti da raffiche di vento particolarmente molesto.
Inizia a piovere e questo nuoce gravemente al nostro umore. Ci rifugiamo in una pasticceria per bere un caffè e decidere cosa fare: sul giornale leggiamo che il vento nella notte ha causato diversi danni. Per arrivare a Cagliari mancano 160 km in sostanziale pianura lungo la famigerata SS131. Anche se sostenuti dal vento, si prospetterebbe una giornata poco divertente. Basta poco per decidere di risparmiarci la fatica e di prendere il treno. In due ore siamo a Cagliari dove andiamo a spasso e ci concediamo un po’ di riposo, non prima di essere andati a fare un saluto alla ciclofficina locale, la Sella del Diavolo, dove conosciamo Maria Luisa e Maurizio con cui andiamo a bere qualcosa.

Il nostro viaggio in Sardegna finisce qui: ce ne andiamo con il piacere di aver conosciuto una terra sconosciuta e difficile, che ci ha trattato come un cavallo selvatico che non vuole essere sellato e fa di tutto per sbalzare il cavaliere.
Diversamente, però, abbiamo apprezzato molto il calore e l’ospitalità discreta dei Sardi che ci hanno saputo far sentire sempre i benvenuti. Forse per indole naturale, forse perché due pazzi che sfidano il vento e le intemperie in bicicletta farebbero tenerezza anche al cuore più duro e insensibile.

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Arriviamo all’aeroporto di Cagliari con la certezza che torneremo presto: Abbiamo pedalato questa parte di isole come si legge un romanzo a puntate. Abbiamo la sensazione di aver letto solamente il primo, avvincentissimo capitolo. Ne restano ancora molti da leggere e noi non vediamo l’ora.

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