Pasticcini
di Ruggero Scarponi
"La bellezza che muove le azioni degli uomini nasconde il fine (la fine?) di tutte le cose". – Sentenziò il Dottor Toscano mentre prendeva, dopo un attimo d’incertezza, dal vassoio, al centro della tavola, un disco di pasta ripiegato in forma di mezzaluna, contenente una fragrante crema al rhum con scaglie di cioccolato.
La frase sembrò adeguata in quell’occasione.
Il Dottor Toscano, infatti, di lì a poco morì.
Difficile fu stabilirne la causa, anche se l’istituto di medicina legale emise un referto con diagnosi d’avvelenamento. Il fatto però che non fosse possibile determinare a quale gruppo o categoria appartenesse la tossina che aveva provocato dapprima la crisi respiratoria e poi l’arresto cardiaco, costituì un mistero che non si riuscì a dipanare.
L’attenzione degli inquirenti si concentrò sulle ultime parole del Dottore: La bellezza che muove…ecc.
Frase senza dubbio sibillina e non tanto nella prima parte dell’enunciato, quanto nella seconda. Quel: “…nasconde il fine (o, la fine?) di tutte le cose”, suonava come un annuncio. Ma perché? Cosa mai aveva portato la vittima a pronunciare quella frase e con quale recondito significato?
Per venirne a capo c’era di sicuro una bella matassa da sbrogliare.
Per prima cosa, la scena del delitto.
Il Dottore era stato avvelenato in casa propria, durante il pranzo domenicale consumato assieme a tutta la famiglia.
E dunque fu necessario “torchiare” la famiglia: sua moglie Anna, giovane, bella, casalinga. Le tre figlie, in ordine d’età , Marisa, universitaria iscritta al primo anno di psicologia, Giulia e Livia studentesse liceali. Infine, la giovane Frauleine Klara, una ragazza tedesca, amica di Giulia, studentessa di Storia dell’Arte, in Italia per perfezionare la lingua. Ospite della famiglia Toscano.
Procedendo con ordine diremo che il titolare dell’indagine, il Dottor D’Episcopo, cercò fin dall’inizio di cogliere qualche elemento di conflitto all’interno della famiglia per poter risalire al movente.
La signora Anna fu la prima indiziata. Si scavò nella sua vita alla ricerca di ogni minimo dettaglio in grado di far luce sulla vicenda. Aveva un amante? Covava risentimenti, gelosie? Nossignore, una donna irreprensibile. Il rapporto coniugale era sempre stato piano e sereno.
E delle tre figlie? Che dire? Tre autentici tesori di papà . Almeno così risultava da tutte le testimonianze raccolte. Una pista impraticabile.
Non restava che la ragazzina tedesca. Sedici anni. Bella, anche troppo e provocante ma ingenua, senza malizia, come una bambina! Pero anche qui nulla emerse di rilevante. La piccola Klara era per il Dottor Toscano, veramente come una figlia. Su questo concordarono le dichiarazioni rese agli inquirenti, dalla Signora Anna e dalle tre figlie, nessun dubbio. Solo affetto. Punto.
Restava il fatto, però, che qualcuno doveva aver messo il veleno nel pasticcino ingerito dal Dottore.
Ma siamo sicuri che ci fosse premeditazione?
E se il veleno fosse caduto accidentalmente nel dolcetto? Tutte le ipotesi dovevano essere verificate minuziosamente. Sarebbe bastato trovare un’incrinatura…
Naturalmente durante le indagini, il laboratorio della pasticceria dove erano state acquistate le paste, fu messo sotto sopra. Così anche tutti i dipendenti, compreso il proprietario. Di loro fu analizzato qualsiasi punto di possibile contatto con il povero Dottor Toscano.
D’Episcopo non ci trovò nulla. Anzi Il Dottore, sembrerebbe, che nella pasticceria non ci fosse mai neppure entrato.
Lui le paste le mangiava, a comprarle andavano la moglie o le figlie. Alla fine del pranzo domenicale e prima del caffè nella famiglia Toscano si celebrava il rito dei pasticcini. Tanti. Toscano ne mangiava almeno quattro. Era goloso e si teneva leggero con le altre portate del pranzo per lasciare spazio ai dolci. Eppure dalle analisi di laboratorio si era potuto stabilire che un solo pasticcino conteneva la dose letale. Se qualcuno desiderava la morte del Dottore come poteva sapere che la vittima avrebbe scelto proprio quell’unica pasta avvelenata?
Anche in questo caso ci si chiese se Toscano avesse avuto una predilezione per il pasticcino con la crema al rhum in modo che un eventuale assassino avesse potuto prevedere e agire di conseguenza. Ma tale ipotesi non fu confermata da nessuno. Quindi, la scelta fu del tutto casuale.
E la frase pronunciata, un istante prima?
Potevano la signora Anna o le altre ragazze della famiglia spiegare?
Perché Toscano aveva pronunciato quella frase con aria assorta prima di scegliere il suo ultimo pasticcino?
Perché mai la bellezza nasconderebbe il fine (o, la fine?) delle cose?
Di quale bellezza parlava? E di quali cose nascondeva il fine o la fine?
D’Episcopo, per trovare le risposte, provò a scandagliare la personalità di Toscano.
Ne ricavò il ritratto di un uomo per bene.
Padre e marito amorevole.
Onesto lavoratore.
Un poco pigro ma con qualche interesse personale.
Appassionato, in maniera discreta però, di viaggi e libri d’arte.
Laureato in giurisprudenza era dirigente nell’ufficio legale di una grande azienda.
In quella posizione avrebbe potuto dar fastidio a qualcuno, farsi dei nemici. La risposta poteva nascondersi tra le tante pratiche che gestiva.
Si decise di verificare l’intera rete di corrispondenze e relazioni professionali.
Alla fine, anche in questo caso non se ne ricavò nulla.
D’Episcopo era sempre più convinto che la frase pronunciata da Toscano fosse la chiave del mistero. Una specie d’annuncio fatto in e alla famiglia.
Poteva far riferimento alla Frulein?
La piccola come si è detto era molto bella e avrebbe potuto suscitare un sentimento morboso in un uomo di mezza età . Poteva essere la sua bellezza che nascondeva il fine o la fine di tutte le cose?
A proposito: non si riuscì mai a venire a capo di un dettaglio.
E cioè se il Dottor Toscano avesse pronunciato: “il fine, o la fine”.
I suoi famigliari non dettero importanza alla frase sul momento e poi nel cercare di ricostruire i fatti durante gli interrogatori della polizia, ognuno la riferiva come credeva di ricordarla.
Insomma per tornare alla Fraulein, forse Toscano ci aveva “provato”? Era stato scoperto? Si sentiva minacciato dal risentimento della moglie? Delle figlie? O di tutte le femmine di casa?
Toscano s’interessava d’arte, come si è detto. Aveva nella biblioteca del suo studio innumerevoli libri sull’argomento. Su tutti però svettavano quelli che riguardavano la ritrattistica e la figura umana.
E’ possibile allora che Toscano avesse idee molto precise a proposito della bellezza. E’ possibile che ne ricercasse, attraverso una sua particolare visione, i connotati identificativi.
D’Episcopo interrogò lungamente la Signora Anna su questi temi.
Dal colloquio non emerse nulla che potesse far sospettare, nell’uomo, uno squilibrio, un’ansia, un’ossessione.
Toscano, secondo sua moglie, coltivava la passione per l’arte come un qualsiasi altro hobby.
A un certo punto, però, al sostituto procuratore Dottor D’Episcopo, sembrò di aver trovato l’incrinatura tanto cercata. Il mondo perfetto in cui Toscano sembrava essersi chiuso, insieme alla sua famiglia, mostrava una sbavatura, una piccola crepa.
Chiuso in una busta, il Dottore, conservava, nella scrivania, in un cassetto segreto, sfuggito durante le perquisizioni di rito, la riproduzione di un’opera di Velasquez, un quadro esposto al museo del Prado di Madrid intitolato: la donna barbuta. Un’autentica testimonianza di un particolare fenomeno ormonale che aveva suscitato l’interesse dei medici del XVI secolo e di artisti come il Velasquez.
La crepa sembrava allargarsi. Altri ritrovamenti simili furono fatti nell’ufficio di Toscano presso l’azienda dove lavorava. Si trattava di riproduzioni di quadri che ritraevano persone brutte e in genere sgradevoli. D’Episcopo si mise ad analizzare tutto quel materiale.
L’intuito gli suggeriva una pista principale.
Come mai un uomo interessato alla bellezza si era circondato in maniera furtiva dell’esatto contrario? Della bruttezza.
Forse che la bellezza che muove le azioni degli uomini non ne sarebbe se non un’illusoria e temporanea facciata?
Toscano era forse segretamente ossessionato dall’idea di essere o di diventare brutto col passare del tempo?
Antinoo, ricordava D’Episcopo, il favorito dell’imperatore Adriano, si era ucciso nel pieno del suo fulgore di fauno. Un tentativo estremo di fermare la decadenza.
D’Episcopo ebbe un’idea.
Chiese alla Signora Anna se fosse in grado di ordinare alla pasticceria gli stessi dolci di quella domenica fatale.
La signora ci pensò su e con l’aiuto delle figlie riuscì a ricordare esattamente tutte le paste.
Il Dottor D’Episcopo si recò alla pasticceria con la Signora Anna.
Acquistarono le paste e le portarono a casa.
Poi chiese alla signora di apparecchiare la tavola come quel giorno con tanto di tovaglia di lino con le guarnizioni a ricami colorati, il servizio buono di porcellana tedesca, le coppe di cristallo per lo champagne...
Riunì la famiglia, compresa la piccola Fraulein Klara.
Chiese a ognuno di sedersi nello stesso posto di quella domenica.
Chiese alla Signora Anna, di prendere il vassoio con i pasticcini e di sistemarlo al centro della tavola.
Solo la piccola Livia ricordò un particolare importante.
A portare i pasticcini in tavola non fu la mamma, ma il papĂ .
Dopo questa precisazione i pasticcini furono sistemati al centro della tavola.
Ora D’Episcopo sedeva allo stesso posto di dove si era seduto Toscano con tutta la famiglia intorno.
Passò lo sguardo da una all’altra delle donne della famiglia.
In esse risplendeva la bellezza.
E i pasticcini sulla tavola sembravano completare quel quadro delizioso, aggiungendo sapore e colore...
Che cosa sarebbe rimasto sulla tavola una volta mangiate tutte le paste?
Che cosa sarebbe rimasto della bellezza una volta consumata e sfiorita?
Forse davvero la bellezza nasconde all’uomo la sua vera condizione, come una maschera perversa e caritatevole.
Questo deve aver pensato il sostituto procuratore D’Episcopo quando decise di assaggiare la pasta in forma di mezzaluna con la crema al rhum con le scaglie di cioccolata.
Naturalmente dopo averla ingerita anche lui, il Dottor D’Episcopo, di lì a poco morì, in circostanze misteriose.