#222 - 7 luglio 2018
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Racconto

La primavera del '44

L'assalto ai forni

di Ruggero Scarponi

Sarà stata l’arte del Manzoni ma ancora oggi se parli di un assalto al forno, c’è di sicuro qualcuno che completa la frase sentenziando: al forno delle grucce. Magari aggiunge anche, facendo sfoggio di cultura liceale, El Prestin de scansc (lo stesso forno, detto in milanese stretto).
E non sarà l’unico, ché quell’episodio narrato nei Promessi Sposi, è profondamente inciso nella memoria studentesca, ma non solo, visto che cinema e televisione l’hanno spesso ricostruito così bene, con dovizia di particolari… e quel Renzo, poi, che scorta il Gran Cancelliere Ferrer (quello per intenderci di: Pedro, adelante, con juicio), e il Capitano di Giustizia (col suo bernoccolo sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica) …si, insomma, chi non lo ricorda?

Giusto, giusto. Manzoni è una gloria nazionale e i Promessi Sposi sono il manifesto della lingua italiana rivista e corretta in riva all’Arno, dopo secoli d’incertezze e di spropositi.
Tuttavia non posso comprendere come sia possibile dimenticare “altri” assalti ai forni, ugualmente drammatici ma ben più recenti e che sono stati serviti letterariamente da fior di penne, scrittori e scrittrici d’indubbio valore e fama, (tanto per citarne uno fra tutti: pane nero, di Miriam Mafai). E allora mi domando, cos’è che rende così ostico parlarne ai ragazzi nelle scuole?
Cos’è che rende così ostico parlare, dicevo, della tragica primavera del ’44 a Roma.
Allora ci furono dei fatti così gravi, perpetrati dai nazi-fascisti contro la popolazione civile, che corre l’obbligo d’indignarsi e continuare a farlo nei secoli dei secoli, altro che: è storia passata. Quella storia non passa.
E la scuola deve ricordare.

L’assalto ai forni si diceva.
Ecco di cosa stiamo parlando. Roma aprile 1944. Dal settembre del precedente anno, le truppe germaniche si sono impadronite della capitale del Regno. Grazie all’aiuto di personaggi senza scrupoli inquadrati nei ranghi della polizia, impongono un duro regime di sopraffazione alla cittadinanza, ridotta alla fame da una contingenza alimentare al limite della sopravvivenza.
Si produce una gran quantitĂ  di farina a Roma, si sfornano montagne di sfilatini, pane bianco, pane pregiato di quello che la popolazione civile non tocca da mesi e di cui forse neanche se ne ricorda piĂą.
Il pane va tutto ai tedeschi, gli occupanti, coadiuvati dai fascisti.
Ci vuole l’ingegnosa trovata del generale Maeltzer per scatenare la rivolta di una città stremata da 4 interminabili anni di folle guerra e sfiduciata dal tradimento del Re, che con tutta la Corte, invece di difendere Roma, ha preferito fuggire e mettersi in salvo in braccio agli Alleati.
Questo generale Maeltzer, di fronte alle proteste per la penuria di cibo non trova di meglio che ridurre la razione giornaliera da 150 a 100 grammi di pane per persona.
ChissĂ  come sarĂ  stato tronfio e soddisfatto della trovata. Impettito nella sua uniforme davanti allo specchio.
Mandare un’intera città alla disperazione. Che esempio! Che lezione per questi Romani!
A fine guerra la pagherĂ , il generale, anche se troppo poco in confronto ai patimenti inflitti a centinaia di migliaia di inermi cittadini.
Ma le madri non le ferma nessuno. Quando si tratta di difendere i figli, le madri non le ferma nessuno.
A Roma, Milano, Parigi o in capo al mondo, questo è il limite invalicabile.
Un figlio che ha fame e si aggrappa alle sottane della madre scatena rabbia e un coraggio da leonessa.
In aprile scoppiano tumulti ovunque in cittĂ . I convogli di camion scortati dai militi italiani vengono assaltati e svuotati del prezioso carico di farina e pane, in pochi minuti.
Il 7 aprile le donne sono ai forni. Li assaltano, li saccheggiano, arraffano, portano finalmente un po’ di quell’abbondanza ai figli affamati.

Terribile è la reazione degli invasori tedeschi: arrivano sul posto le ss che sparano, mitragliano, e uccidono. Dieci donne. Dieci nobili donne del popolo. Uccise, vilipese e abbandonate sulla spalletta di un anonimo ponte della periferia, per ben due giorni. Dei loro corpi, rimossi in gran segreto dai tedeschi, non si riuscirà mai a conoscere il luogo della sepoltura.
E’ la strage del Ponte di ferro, all’Ostiense.
Che bella disciplina sanno imporre questi signori occupanti!
Tutta gente che si difenderà nei processi, a guerra finita, piagnucolando innocenza. Hanno solo obbedito a degli ordini superiori! Certe cose, se non gliele avessero comandate, loro, non le avrebbero fatte! Sì, come no.
E non finisce qui.
Il 2 maggio la protesta scoppia rabbiosa al Tiburtino.
Di nuovo si assalta un forno dove si sospetta che si prepari il pane per le gerarchie germaniche.
Accorrono i militi della PAI (Polizia Africa Italiana) in forza alla RSI.
Sparano a una donna che regge una sporta con 6 sfilatini (uno per ognuno dei suoi figli).
La donna si chiama Caterina Martinelli e stringe al collo la figlioletta.
Colpita a morte cade a terra. Nella caduta travolge la piccola che benché salva riporterà danni irreversibili alla colonna vertebrale.

Tra aprile e maggio non si contano i tumulti e le proteste delle donne romane in cerca di un po’ di pane per sfamare i propri figli.
Questa è stata la primavera del ’44 a Roma.
A me, a scuola, non me ne hanno mai parlato.
L’assalto ai forni si diceva.
Quale, quello delle Grucce? Quello dei Promessi Sposi?
Storia passata.
O sbaglio?

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