Una iniziativa del Ministero della cultura e del turismo
Fotografia: ergo sum
Lo Stato Italiano riconosce finalmente l'esistenza della fotografia,
emanando un Piano strategico di sviluppo
di Giuseppe Cocco
1839 nasce la fotografia (precisamente il 7 gennaio, data dell'annuncio ufficiale), quando cioè lo studioso e uomo politico François Jean Dominique Arago, eletto deputato nel 1830, spiegò nei dettagli all'Accademia di Francia (richiedendo poi anche un contributo economico per l'autore).
2018 la fotografia viene riconosciuta dallo Stato italiano (meglio tardi che mai) ma con un Piano a scadenza 2022, e poi?
Per 179 anni, i fotografi italiani, nonostante l'importanza ricoperta dalla fotografia all'interno dei giornali e della pubblicità, sono rimasti in un limbo, sono stati degli apolidi.
Di tanto in tanto, alcuni, osannati - Gianni Berengo Gardin, Fulvio Roiter, Gabriele Basilico, Franco Fontana, Ferdinando Scianna, Oliviero Toscani, Mimmo Jodice, Letizia Battaglia, Luigi Ghirri, Olivo Barbieri, Mario Giacomelli, Romano Cagnoni, Mario Dondero, Mario Cresci, Nino Migliori, Piergiorgio Branzi, Tina Modotti, Mario De Biasi, Ando Gilardi, Felice Beato, i Fratelli Alinari, Cesare Colombo, Giorgia Florio, i Fratelli D'Alessandri, Giuseppe Cavalli, Carla Cerati - uomini e donne appassionati ed eroici, più spesso anonimi sfruttati; per i più la professione fotografica era sinonimo di "fotografo di matrimoni".
Poche le gallerie, il Diaframma di Cesare Colombo a Milano; qualche associazione, dilettantistiche raccolte sotto la FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) e professionali quali l'AFIP (Associazione Fotografi Italiani Professionisti), l'AIRF (Associazione Italiana Reporter Fotografi) e TAU Visual; altre nate e morte tipo il GADEF (Gruppo Agenzie Distributori e Stampa). Iniziative più o meno private, abortite o striminzite, come quelle create nell'ambito dei sindacati.
Artigiani; artisti o professionisti, eterno dilemma. I Fotoreporter o fotogiornalisti riescono ad entrare a far parte dell'Ordine dei Giornalisti, mal sopportati dai professionisti e solo come pubblicisti.
Ora, con il Tuffatore di Nino Migliori in copertina, ecco quando ormai non ci si contava più, il MIBACT (Ministero per i Beni Culturali) capitanato dal fu ministro Franceschini, in estrema zona Cesarini, realizza la promessa, emanando il Piano Strategico di Sviluppo della Fotografia in Italia pochi giorni fa, sotto forma di fascicolo illustrato con fotografie).
E' il primo intervento organico di un governo italiano dedicato alla cenerentola dei media, frutto di un anno e mezzo di lavoro, inclusi 2 convegni generali e 19 incontri tematici e territoriali, della “Cabina di regia” del Ministero per i Beni Culturali, voluta dal ministro Dario Franceschini e diretta da Lorenza Bravetta.
A pensarci, un tempo di elaborazione rapido e molto poco italiano, ma con una salute cagionevole dovuta al fatto che, il governo è in stato affari correnti, quindi non potrà gestirne l'attuazione perché sostituito presto da governi di altri colori e tendenze, e dunque il suo destino è a rischio di insabbiamento. Proviamo comunque ad essere ottimisti leggendo questo fascicolo di 120 pagine come se avessimo certezza, finalmente, di una politica culturale sulla fotografia in Italia.
Il Piano, quindi, promette e intende fare sostanzialmente 3 cose:
1- Mettere ordine nel caos del patrimonio fotografico pubblico, censendo al contempo quello privato.
2- Sostenere la produzione contemporanea di fotografia d’autore.
3- Promuovere l’educazione alla fotografia nelle scuole, soprattutto quelle dell’obbligo.
Pochi e ben definiti propositi, vasti nella loro applicazione ma, purtroppo, all'italiana, prevedibilmente, grandi propositi per miseri effetti, riducibili al punto 2, dove tutti cercheranno di mungere i soldi che sì, ci sono, per lo meno promessi - fondi per i festival, per i musei, per i progetti curatoriali, per i giovani autori, per gli archivi, ecc. - con tanto di bandi e commissioni aggiudicatrici già formate con nomi e cognomi, ma senza cifre di copertura finanziaria, perché si tratta pur sempre di un piano e non una legge di spesa (tallone di Achille). Ma a noi interessa l’idea di fotografia italiana che emerge da questo atto pubblico impegnativo.
C’è una premessa che descrive uno scenario mondiale convincente e preoccupante in egual maniera, correttamente letto in uno scenario di poteri forti che vedono un quadro di enormi battaglie globali per il potere di gestione finanziaria e distribuzione delle immagini; sebbene ci sia chi teorizza la presunta smaterializzazione della fotografia, impalpabilità, volatilità, qui, al contrario, si scopre che continuerà e sarà sempre più concretissima, solida, tesaurizzata, accumulata, privatizzata, capitalizzata analogamente ai vecchi metalli preziosi. Un gioco economico globalizzato che vede da una parte, le grandi concentrazioni monopoliste di immagini: Getty Images, alleatasi coi i capitali cinesi ora è il più grande caveau del mondo con 250 milioni di fotografie possedute e movimentate, dà ragione all’intuizione di Bill Gates (che però incomprensibilmente ha abbandonato, vendendo la sua Corbis proprio ai cinesi) che già negli anni '80 sosteneva che una grande quota di potere nell’era dei media interconnessi, sarebbe andato ai proprietari dei contenuti, visuali in particolare. Dall’altra, grandi concentrazioni monopolistiche di canali e piattaforme su cui le immagini vengono condivise in maniera gratuita: i social network,, strumenti di uso gratuito, ma in realtà, macchine potenti di trasformazione sociale che, attraverso un bene comune gratuito condiviso e virale, con la collaborazione di tutti, con la visione, anche individuale, privata, ad uso di fonti di profitto per pochi.
Importante e significativo che lo Stato abbia portato allo scoperto il gioco sporco di chi, pochi, in maniera subdola si arricchisce a scapito dei più; un plauso a chi si è reso conto, e segnalato coraggiosamente, il rischio di questa globalizzazione monopolista delle immagini.Perché il rischio è che la cultura e il patrimonio visuale italiani diventino terra di saccheggio del nostro capitale visuale storico e contemporaneo da parte dei nuovi padroni di immagini, di fronte ai quali siamo disarmati e impotenti, perché generalmente inconsapevoli.Tutte cose che molti collezionisti e investitori stranieri hanno già capito, cominciando a rapinare, concretizzando il rischio di fuga del patrimonio visuale oltre frontiera.
Le leggi per impedirlo veramente ci sarebbero, ma non servono a nulla se non è ben chiaro quale sia e dove sia il patrimonio che quelle leggi dovrebbero difendere. fino in fondo, per cui, la prima proposta è conoscere, censire, misurare; per il momento lanciando un portale fotografia.italia.it che per ora, contiene più potenzialità che contenuti. Un patrimonio visuale capitalizzabile che neppure i cittadini e le istituzioni conoscono.
Per conoscere, e riconoscere, serve più cultura da parte di funzionari ed opinione pubblica; per questo motivo serve una strategia operativa coordinata e continuativa, contenute nel Piano, che preveda l'innesco di un circolo virtuoso con connessione tra censimento del patrimonio ed educazione e promozione culturale. Un giro di boa importante, che fa il punto sulla fotografia mai fatto, ampio e approfondito, unitamente ad iniziative sensate che speriamo non si arenino.
Ma, come sempre accade nelle leggi e disposizioni del nostro paese, non tutto è chiaro e/o incompleto. Manca una definizione certa di cosa sia la fotografia come bene culturale. Molti riferimenti alla fotografia come “forma artistica matura”, che ci riportano all'eterna diatriba italiana su distinzione fra fotografia d’autore e fotografia senza valore, la “semplice fotografia” della nostra legge sul diritto d’autore.
Con decine di’anni di ritardo ci rendiamo conto che finora abbiamo fatto ben poco anche per la fotografia d’autore, anche penalizzati da quanto hanno fatto paesi europei più attenti di noi, Germania, paesi nordici, Francia, per sostenere e potenziare il valore della propria produzione nazionale, attraverso commissioni pubbliche e sapienti strategie di marketing culturale. E non è idea vincente cominciare a “proteggere” la fotografia o i fotografi autori, istituendo una sorta di anagrafe dei fotografi di qualità, un Registro pubblico dei fotografi autori, una specie di Ordine o Albo dei Fotografi che sembra essere la solita soluzione farraginosa, madre e figlia di un sistema burocratico. Infatti, la domanda sorge spontanea: chi potrà iscriversi e come?
Il Piano non chiarisce e, di contro apre, ancora una volta, alla diatriba di lana caprina: inutile se sarà un’anagrafe nominativa, alla quale poter accedere semplicemente compilando un modulo; indifendibile un siffatto elenco. Se al contrario, si adotterà una selezione di qualità, chi rilascerà la patente di fotografo di qualità tutelato? Con quali criteri? Quali privilegi avrà l’Autore tutelato e cosa accadrà a chi non è registrato come tale? C'è anche il rischio di ricorsi ai Tar o class action. E soprattutto, dobbiamo difendere solo l’autore e/o la sua fotografia? Tutte le fotografie dell'autore o solo alcune? Chi decide cosa è un autore e chi decide se lo è e quali caratteristiche ha una fotografia d'autore? Si considereranno ”d’autore” solo quelle artistiche o anche gli archivi fotogiornalistici di agenzia, nazionali e locali, gli archivi fotografici delle imprese, degli studi fotografici di paese e di quartiere, quelli familiari, quelli scientifici, professionali, tecnici? Fotografia d'autore o Fotografo Autore?
Nel secondo caso il parametro per similitudine sarebbe la definizione usata in storia dell’arte, se pure ambigua. E se le foto condivise in massa sono viste come una patologia, un piano di educazione critica alla cultura visuale, dovrà comunque partire dall'uso quotidiano di tali immagini che fanno parte dell’esperienza della fotografia per milioni di persone, magari mettendole a confronto quelle usate dai giornali e dalla pubblicità. E le tante fotografie private non considerate d'autore, che comunque un autore ce l'hanno; i selfie, che Il Piano indica, ed io condivido pienamente, come prova di un decadimento della qualità, una minaccia, una sciagura per la cultura visuale: “miliardi di immagini” la cui proliferazione, dice testualmente: “usura la dignità della fotografia, la rende indifferente nella sua banalità quotidiana, appiattisce la capacità di giudizio e di interpretazione”, insomma un’epidemia da cui difendere la fotografia vera.
Eppure, è proprio sull’appropriazione e lo sfruttamento di queste fotografie banali che si fondano profitti stratosferici dei gestori di piattaforme di condivisione; queste le fotografie che rappresentano il veicolo e prodotto della cultura visuale della nostra epoca se pur becera e dozzinale. Pertanto non si tratta di tutelare milioni di foto di selfie, ma di impedire l’appropriazione, la manipolazione e la colonizzazione dell'immaginario collettivo. Bisogna capire come tutelare dall’appropriazione e dallo sfruttamento speculativo per intero la Fotografia, che deve rimanere libera e disponibile a tutti; e non si può farlo con i criteri abituali di istituzioni pubbliche, ancora di cultura burocratica passatista. Evitando altresì che le regole di questo linguaggio siano fissate dagli stessi monopoli che cercano di piegarle alle logiche di profitto.
Oltre che tutelare il patrimonio culturale, si dovrà difendere la libertà di espressione e la salute delle relazioni umane. Per questo non basterà, benché necessario e sacrosanto, aumentare le difese immunitarie critiche dei giovani, e non solo, portando finalmente l’educazione visiva a scuola, ma anche fissare regole che garantiscano la libertà di circolazione, scambio, condivisione delle immagini tra tutti, limitandone la privatizzazione e la gestione tra pochi. Ci sono probabilmente da riscrivere la legge sul diritto d’autore nel capitolo dedicato alla fotografia, omogeneizzandola con quelle degli altri paesi europei, codici e normative.
Il Piano, purtroppo, ricapitola le leggi esistenti, come se fossero un dato di fatto immutabile, avallando per esempio l'incredibile ed assurdo “divieto di panorama”, accettandone i limiti posti alla circolazione di immagini in cui appaiano architetture o opere d’arte visibili in spazi pubblici. In definitiva, nonostante il buon lavoro fatto, molto altro resta da fare: ma chi dovrà farlo e, soprattutto, bisogna capire meglio quale è il bene da tutelare.
Difendere la fotografia da parte di chi non se ne è mai occupato e mai considerata, in un’epoca in cui ne sfugge il significato in rivoli di usi ed applicazioni, non è proprio la cosa più facile del mondo, ed il rischio è che davanti a tali difficoltà, si getti la spugna rimanendo allo status quo.