Dal rapporto ONU - Banca Mondiale
143 milioni di migranti
Causa mutamenti climatici
Il recente rapporto Groundswell (marzo 2018) delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale prevede da qui al 2050 una migrazione per ragioni climatiche che interesseranno 143 milioni di persone. Alcune note indicative.
Effetto serra, effetto guerra.
Migranti climatici nel pianeta che si sta ribellando. Una sintesi dei guai del mondo, oggi ma sopratutto domani, in Affari Internazionali. I datti del suicidio umanitario.
- Un innalzamento della temperatura media globale fra 0,3 e 2,5° entro metà secolo, valuta l’organismo intergovernativo sul clima delle Nazioni Unite.
- Le stime di crescita della popolazione mondiale – indicata sopra la soglia dei 10 miliardi nei prossimi trenta anni-, c’è da aspettarsi che il numero delle persone costrette a lasciare la propria casa per questioni ambientali aumenti sempre più. La cifra di 143 milioni rappresenta solo lo scenario più allarmante.
Migranti, sensazioni e fatti.
Partiamo dalla politica interna italiana. Una campagna elettorale italiana, durante la quale le parole più usate sono state invasione, criminalità, terrorismo, instabilità.
Per Amnesty International, realtà italiana in linea con la tendenza, sempre più diffusa tra i leader del mondo, di prospettare scenari “da incubo” per ottenere risultati a breve termine, basati sulle sensazioni molto più che sui dati.
Rapporto Ipsos 2017, l’Italia ai primi posti della classifica mondiale per percezione negativa degli immigrati, con il 66% degli italiani che ritiene che siano troppi e una larga maggioranza che si dice favorevole alla chiusura netta delle frontiere. Il problema, tra il dire politico e la realtà del fare, è che i migranti che arrivano rappresentano una percentuale marginale rispetto quella dei migranti dei flussi intra-africani, sull’asse Sud-Sud.
Le cause degli spostamenti
Migranti climatici, un esempio per capire: il Lago Ciad. Nel solo 2016 risulterebbero 22,5 milioni di profughi ambientali, spinti ad andarsene dai propri Paesi d’origine per fenomeni legati al clima, quali inondazioni, uragani, siccità. Il Lago Ciad è un esempio significativo per il quadro che si sta lì delineando, con una riduzione della sua portata dell’80% negli ultimi 40 anni. Un dato interessante se si tiene conto che nove migranti su dieci che affrontano il disperato tentativo di attraversare il Mediterraneo provengono dalla fascia del Sahel, di cui il Lago Ciad rappresenta il cardine geografico. La difficoltà a riconoscere il collegamento tra cambiamento climatico e migrazione si deve ai cosiddetti “slow-on-set events”, eventi a “lenta insorgenza”. Quel lento, peggioramento del clima, come lo scioglimento dei ghiacciai o la desertificazione del suolo.
‘Slow-on-set events’, eventi a ‘lenta insorgenza’
L’impatto di questi cambiamenti appena percepibile nell’immediatezza, ma segnali di trasformazioni epocali negli ecosistemi naturali e sociali. L’incertezza provocata dai cambiamenti climatici, precisano gli studiosi, creano tensioni internazionali a volte paragonabili al terrorismo o alla guerra. Osserva Federica Bilancioni di AffariInternazionali, che i primi settori ad essere preoccupati per il clima sono proprio quelli militari, a partire dal dipartimento di Difesa americano che ha definito il cambiamento climatico un “moltiplicatore di minacce”.
La concatenazione di questi fenomeni con altri di natura sociale, culturale e religiosa rende difficile definire in maniera netta l’identità del “migrante climatico”, oggi più che mai intrappolato nel clima di paura alimentato dalla classe politica.
Pianeta bistrattato, popoli in fuga
La Convenzione di Ginevra del 1951 non contempla la tutela dei migranti climatici, ed esclude fasce di profughi che lasciano il proprio Paese per ragioni complesse, tra cui i fattori ambientali. A impedire una revisione dei trattati, le critiche attorno all’intero fenomeno migratorio: un ipotetico calo della sicurezza, la necessità di salvaguardare le identità nazionali, la mancanza di risorse economiche per soddisfare il fabbisogno di tutta la popolazione.
Al di là delle dispute etiche o politiche, studi diffusi dicono che la costruzione di muri sarebbe molto più costosa di una politica improntata all’integrazione e alla cooperazione allo sviluppo.