Televisione, gioie e dolori.
Zapping
Frammenti semiseri di cronaca televisiva
di Luigi Capano
Ci siamo! Ecco finalmente il Festival di Sanremo.
Annunciato, come ogni anno, con largo anticipo e con un originale, quotidiano battage pubblicitario, lo spettacolo della canzone italiana famoso in tutto il mondo, giunto alla sessantottesima edizione, si avvale, per la prima volta, della direzione artistica di Claudio Baglioni affiancato, sul consumato palco del celebre Teatro Ariston – una collaborazione veramente ben congegnata - da Michelle Hunziker e da Pierfrancesco Savino.
Cinque serate vivaci ricche di ospiti e di buona musica.
Immancabili i classici del cantautore romano a cui va li merito di aver saputo realizzare un festival di buona qualità, grazie anche alla bravura dei suoi due versatili collaboratori.
La canzone vincitrice, Non mi avete fatto niente del duo Ermal Meta e Fabrizio Moro appartiene al genere tradizionale del “socialmente impegnato”.
Gli avremmo preferito Il coraggio di ogni giorno, il pezzo di Enzo Avitabile e Peppe Servillo, o un cantautore classico come Luca Barbarossa con il suo passame er sale.
Abbiamo apprezzato anche Max Gazzè con La leggenda di Cristalda e Pizzomunno, ispirata ad un’antica favola pugliese e la virtuosa Ornella Vanoni con Imparare ad amarsi cantata assieme agli autori Bungaro e Pacifico.
Bocciato invece il pezzo in classico stile“demenziale” di Elio e le Storie Tese, ultimo classificato.
Sempre in gran forma, tra i numerosi ospiti, Rosario Fiorello; sottotono ci è sembrato invece Sting che si è un po’ troppo avventurato in un difficile pezzo in lingua italiana.
Simpatico ed eccentrico come sempre il Mago Forest, effervescente Laura Pausini - in forse fino all’ultimo per via di una laringite esibita ecumenicamente in diretta telefonica - che ha animato con grinta la serata conclusiva.
Una serata che, guarda caso, ha coinciso con il Giorno del Ricordo – il 10 febbraio – menzionato, ovviamente, dai numerosi telegiornali che hanno punteggiato la giornata.
Così anche a Sanremo, la Hunziker e Favino hanno brevemente ricordato la tragedia di migliaia di italiani dell’Istria e della Dalmazia massacrati – dopo l’8 settembre - dai comunisti di Tito e gettati nelle cavità carsiche chiamate foibe.
I due conduttori sono stati però prudenzialmente alquanto generici, “politicamente corretti” come si dice.
Perfino il capo dello Stato, nel suo discorso istituzionale, ha preferito accentuare il carattere “nazionalistico” dell’eccidio.
Ci chiediamo con rammarico quante generazioni dovranno ancora defungere perché l’ideologia comunista venga finalmente considerata alla stregua - se non di gran lunga più efferata – delle altre perversioni totalitarie.