La bottega del Caffè
Das Kaffeehaus di Rainer Werner Fassbinder
di Alessandro Gentili
Dal 23 al 28 gennaio, al Teatro Vascello va in scena La bottega del caffè, commedia in prosa in tre atti dal famoso nucleo delle sedici commedie nuove scritte da Goldoni per la stagione 1750-1751. E’ un riuscito quadro che mette in luce alcuni aspetti negativi dell’essere umano quali la maldicenza, l’infedeltà e il vizio per il gioco.
Il caffè gestito da Ridolfo è frequentato da Don Marzio, eterno maldicente. Sua vittima è Eugenio, un giovane mercante che ha perso enormi somme alla bisca gestita da Pandolfo, così come Vittoria, moglie di Eugenio, alla quale Don Marzio va a raccontare la frottola di una presunta relazione fra l’uomo e la ballerina Lisaura. Dopo una lunga serie di equivoci causati dalle sue maldicenze, Don Marzio viene smascherato e costretto dalle sue stesse vittime a lasciare Venezia.
Das Kaffeehaus è un’interessante riscrittura di Rainer Werner Fassbinder del goldoniano La bottega del caffè: la pièce, che il regista e autore teatrale e cinematografico tedesco mise in scena per la prima volta nel 1969 a Brema, riadatta la commedia che Goldoni scrisse nel 1750 senza tradirne i sottotesti. Com’è nelle corde di questo autore inquieto, maledetto e geniale, prevalgono le tinte fosche e lugubri, una crudeltà cinica che trova perfette assonanze nel nostro presente.
A portare in scena il lavoro è la Compagnia del Teatro Stabile, a cui si aggiunge Graziano Piazza, attore di esperienza e classe che negli anni Novanta ha preso parte a produzioni quali Medea e Intrigo e amore, apparendo poi spesso in spettacoli ospiti, fra cui il recente Il principe di Homburg.
L’assieme è diretto da Veronica Cruciani, fra le punte di diamante di una generazione di registi italiani che sa indagare con molteplicità di linguaggi le luci e le ombre della contemporaneità .
«Nonostante si tratti di un’opera del 1969 – sostiene la regista – la società che ne viene descritta essenzialmente non è molto diversa da quella che viviamo oggi, per questo la mia intenzione è di ambientarla in una Venezia contemporanea. Ci sembra che i personaggi nell’essenza interiore somiglino a molti protagonisti delle feste mondane che si danno sulle terrazze o nelle case eleganti del nostro Paese, dove si ostentano denaro, bei vestiti e una finta cortesia per celare invece disperazione, solitudine, violenza, desiderio di potere e infine sopraffazione verso il prossimo».
In effetti, asciugando e rimodellando il plot goldoniano, Fassbinder accende i riflettori sul mondo di frequentatori della Kaffeehaus di Ridolfo, in cui un microcosmo d’individui si incontra e parla: discorsi che s’incentrano soprattutto sul denaro. Soldi che si contano e si scambiano addirittura ossessivamente. Certo si tratta anche di ideali, passioni, amicizie, relazioni, fedeltà , rispettabilità … ma ecco, anche per questo – sembra volerci dire l’autore – alla fine si deve pagare. Spiega infatti Veronica Cruciani: «Il lavoro di regia sarà costruito in modo tale da sottolineare l’andamento drammaturgico del testo di Fassbinder: un graduale, lento, inesorabile smascheramento di una situazione che si rivela sempre più l’incontro/scontro di un gruppo di persone guidate dal desiderio del denaro e del potere». A sottolineare questa linea – riprendendo anche l’intuizione registica di Fassbinder nella sua versione televisiva – saranno tutti gli altri codici della messinscena, a partire dagli attori che resteranno in palcoscenico sempre, quasi fossero parte dell’essenziale scenografia e reciteranno in modo straniante, supportati da una musica inizialmente tradizionale e via via più elettronica e nuda.