Convenzione europea
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Cos'è paesaggio
Le considerazioni Italiane e le note di commento
La realtà odierna, in tema di paesaggio, purtroppo non è così e riporta alle parole di Ansel Adams, che diceva: «Il paesaggio è il luogo della distruzione».
Poche ma sentite parole di un fotografo paesaggista, che stigmatizzano la condizione del nostro mondo travolto dagli appetiti bulimici imprenditoriali del nostro tempo.
Il paesaggio è il luogo della distruzione della ricchezza accumulata in centinaia, migliaia, forse milioni di anni, che specie nelle nostre nazioni ricche, dove la maggioranza dei cittadini può comprarsi tutto in un falso benessere in cui falsamente, di tanto in tanto, si concede una benevola attenzione verso il mondo, con qualche simulata emozioni per le popolazioni schiacciate dalla miseria, o una certa preoccupazione emergenziale nei periodi di calamità naturali o innescate dall’insipienza dell’uomo.
Una proposta per riqualificare i territori sottoposti a incendi o ai dissesti idrogeologici, trasformando la distruzione in rinascita costruttiva; opporre alla mente malata che vuole distruggere la storia, la creatività per una rinascita attraverso la riconversione dei boschi in aree agricole; ove c’erano alberi, ripiantumare alberi ma da frutto o ulivi, campi a grano. Orticoltura, frutteti ed uliveti per mantenere e presidiare i territori e sviluppare agricoltura d’identità , offrendo posti di lavoro diretti ed indiretti sviluppando la filiera agroalimentare.
Ma cosa rappresentano i paesaggi per i cittadini evoluti dell’occidente, gente molto razionale e ciecamente ottimista, che si affida al potere del denaro?
Oggi, causa i corsi e ricorsi della storia, teoria di Giambattista Vico per inciso filosofo meridionale, sempre più cittadini tendono ad abbandonare il caos metropolitano per andare a vivere in campagna.
Ma quanti di questi lungimiranti pentiti cittadini, neofiti campagnoli valutando la scelta, si rendono conto che le case sono situate in paesaggi sensibili dove esistono identità territoriali e genius loci, abitudini di vita locali; che oltre a comprare un immobile esiste la complessa questione di abitare i luoghi.
Tutto si basa sul prezzo delle case, un prezzo con un valore aggiunto che non è solo imposta, ma, a volte, in agguato una non lontana città affumicata, o una terra inquinata da discariche abusive.
Tanto basta ad illustrare la questione dei paesaggi nella nostra epoca, perché quasi ovunque sono in corso traffici finanziari che trasformeranno l’ambiente, senza che contadini o altri abitanti possano avere voce in capitolo, o peggio, ne sono schiacciati.
Il denaro produce invasione e distruzione di paesaggi poveri da parte di popolazioni ricche, per cui gli abitanti indigeni sono costretti a ritirarsi ai margini dei luoghi abitati, se non in baraccopoli periferiche che in tutto il pianeta in ogni epoca hanno segnato questa marcia di conquista.
La parola «paesaggio», pays d’origine francese, in origine aveva una serie di significati che nel tempo si sono persi: paese, regione, contrada; mon pays in senso affettivo per significare il proprio luogo di nascita.
Oggi usiamo per lo più «paesaggio» come sinonimo di «panorama», frutto di un senso derivato dalla pittura paesaggistica. Il che ci riporta a epoche in cui l’anima riconosce e rispetta i modi in cui la natura trasforma la materia in forma.
La natura, diceva Cézanne, diventa il mio pensiero quando provo la sensazione d’un colore, ed è la percezione che debbo rendere con un tono pittorico. In questo senso, la pittura di paesaggio è stata uno studio della natura applicato ai fenomeni del vedere, in relazione alle forme del pensiero e alle idealizzazioni della mente.
Quando nel 1813 Goethe viene a fare il suo Grand Tour per il suo Viaggio in Italia, dice che sono «le care immagini dell’arte» a guidare il suo sguardo. Goethe riempie il senso del paesaggio con qualcosa che va oltre la descrizione di cose; vede «il movimento e la vita» che le immagini dell’arte gli rendono riconoscibile. Per secoli l’idealizzazione del paesaggio è stato un’iniziazione collettiva estetica estatica sinestetica; un’educazione che per secoli ha riguardato soprattutto l’aristocrazia, e per ricaduta condivisa ed applicata dal popolo. Così il paesaggio come concetto rimanda a usanze di una educazione estetica ed estatica, come quella dei giapponesi di andare a contemplare le fioriture stagionali dei giardini urbani e i colori delle foglie autunnali dei boschi dell’isola di Hokkaido.
Fino all’odierna epoca ultra-moderna, il paesaggio è idealizzato come un ambito naturale che suggerisce la contemplazione. Questa idealizzazione è in gran parte il lavoro del paesaggismo pittorico che si diffonde nel clima innovativo settecentesco, e parallelamente di Jean-Jacques Rousseau che celebra il buon ritiro fuori dalle città e la contemplazione della natura come modi per sottrarsi alla corruzione della vita civilizzata.
I paesaggi, immagini di luoghi «naturali», invece oggi cominciano ad essere sentiti come antitetici alla corruzione dei costumi nella civiltà europea e ai disastri prodotti nel tessuto sociale dall’accumulazione capitalistica.
Ma il paesaggio non è un dato di fatto oggettivo, non è un oggetto rappresentato nelle foto di un’agenzia turistica o immobiliare, né una macchina da soldi; prima di essere un’icona fotografica, è il luogo dove persone individui e popolazioni vivono la propria vita, con i propri costumi e le proprie culture; è modellato dal e nel tempo, dalle popolazioni che l’abitano nel passato e presente. Da come è fatto riconosciamo come sia stato abitato ed usato nel tempo; come fondatori ed abitanti volevano fosse visto, attraverso aspetti decorativi e simmetrie che guidano l’occhio, che inquadrano e producono scorci e punti focali.
Il paradosso del capitalismo, sistema di profitto simile all’usura e di meccanizzazione integrale dei modi di vivere, vede i suoi inizi in un paesaggio incantato e incantevole, nell’alto Derbyshire, in Inghilterra, dal paesaggio naturale fatto di corsi d’acqua, pecore, e un popolazione contadina lontanissima dalle abitudini cittadine.
Un boomerang per l’ambiente agreste, corsi d’acqua, lana e manodopera robusta che diventarono i tre elementi di base per far lavorare le nuove macchine tessili; tre elementi che produrranno in pochissimi anni una crescita di ricchezze e di miseria mai vista prima, su scala globale, ante litteram della globalizzazione.
È uno sconvolgimento generale dei modi di abitare il mondo, senza scampo: con masse che abbandonano la vita agreste e calano nelle grandi città , attratte dalla richiesta di manodopera, illusi da una vita più agiata, per poi trovarsi incastrate in turni di lavoro distruttivi, e nella miseria come non mai; non più uomini, non più persone.
Così, è con lo spargimento delle fabbriche in un orizzonte urbano fumogeno e sovrapopolato, che il paesaggio come concetto filosofico, prende un aspetto salvifico. Diventando il limite di qualcosa di incontrollabile, che già si identifica come alternativa naturale, che i poeti cantano come un’uscita dall’inferno, e che utopisti architetti ed urbanisti propongono con le nuove idee di città -giardino, dove il verde della natura può e deve rimediare al grigiore industriale. Dalle idealizzazioni del paesaggismo è nato un equivoco diffuso: equivoco che Cézanne ha visto ed espresso con grande lucidità : le persone guardano i paesaggi come se fossero quadri già appesi in un museo.
E’ lo sguardo di categoria, dove al posto delle percezioni poetiche, ci sono sguardi pragmatici di categorie pronte a sostituire ogni percezione idealistica, con una supposta oggettività utilitaristica della cosa guardata.
Perciò la nuova opera che impegna i paesaggisti diventa togliere di mezzo ciò che si è già costituito come concetto, in definizione categoriale, che obnubila lo sguardo, e che in realtà non lascia vedere niente perché subliminalmente si è male educati nello spirito. Anche gli artisti come Caspar Friedrich, Turner, Constable, Cézanne, sono impegnati in questa opera di rieducazione spirituale, lavorando per risensibilizzare la percezione, per riaprirla alla primitività d’ogni paesaggio, come spazio d’iniziazione all’esperienza estetica ed estatica.
Tutto ciò si è reso necessario perché parallelamente alla rivoluzione industriale nasce un nuovo sguardo che ha liquidato ogni comprensione dell’esperienza estatica. Lo sguardo di chi vedendo un quadro dice: «Che bel paesaggio!», come non ci fosse differenza tra paesaggio esistente e la sua raffigurazione virtuale.
Analogamente, l’illusione fotografica volutamente equivoca quando usata nella vendita turistica: nelle foto d’una agenzia turistica viene offerta un’immagine come se i posti fotografati debbano avere solo quell’aspetto, senza differenze tra luoghi reali e rappresentazione fotografica; nella convinzione che i paesaggi siano dati di fatto oggettivi, riducibili a cifre, misure, costi, o ad una rappresentazione fotografica assoluta.
Se il Settecento ci ha abituato a vedere i paesaggi come immagini della natura, l’Ottocento come luoghi naturali dove sfuggire all’avanzata della rivoluzione industriale, il novecento, epoca di pragmatismo e progettazione astratta, nasce l’architettura del paesaggio e il landscape gardening, i cittadini europei tendono a pensare ai paesaggi come inerti da usare; fatti di parchi da visitare, aree per le vacanze, luoghi di tutti e di nessuno, come un agristurismo che aspetta il cliente. È la visione utilitaristica-turistica del pianeta, ridotto alla neutra falsa oggettività delle immagini fotografiche e video, al dato di consumo espresso in denaro.