#109 - 27 ottobre 2014
AAAATTENZIONE - Cari amici lettori, questo numero rimarrà  in rete fino alla mezzanotte del 31 LUGLIO PER LASCIARE IL POSTO AL N° 354 GIOVEDI' 1° AGOSTO. BUONA LETTURA A TUTTI . Ora ecco per voi un po' di SATIRA: Il Paradiso lo preferisco per il clima, l'Inferno per la compagnia (M. Twain) - Quando le cose non funzionano in camera da letto, non funzionano neanche in soggiorno (W.H. Masters) - L'intelligente parla poco, l'ignorante parla a vanvera, il fesso parla sempre (A: De Curtis) - Il sesso senza amore è un'esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è la migliore (W. Allen) - Per alcune cose ci vuole tanta pazienza, per tutte le altre c'è la gastrite (L. Limbus) - Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di un uomo, un giornalista (K. Kraus) - Le banche ti prestano denaro, se puoi dimostrare di non averne bisogno (B. Hope) -
Editoriale

I nostri morti

di Dante Fasciolo

Questo numero del giornale ingloba due festività,
le commemorazioni dei santi e dei martiri e quella dei morti.

Siamo ad un passo dall’alba dell’anno mille
quando si incomincia a celebrare sistematicamente la festa dei morti,
un prolungamento immediato della festa dei santi e dei martiri
che in modo variegato è già presente da secoli:
due ricorrenze contigue per ricordarci
che ognuno di noi può aspirare alla santità.

Senza condizioni? Eh no! Occorre capire.
Spesso a ciascuno di noi capita di perdere un parente,
un amico, un conoscente, qualcuno di cui si ha memoria.
Ma la memoria viene meno se ci riferiamo alla realtà
di milioni di uomini che muoiono ogni giorno nel mondo.
Ignoriamo i loro nomi, è vero, e ignoriamo i loro volti,
ma possiamo dire di ignorare la loro presenza?
e la loro condizione umana?

Morire è l’ultima azione terrena dell’uomo,
e suggella la parabola dell’esistenza individuale.
Chi muore scompare fisicamente, ma restano intatte
tutte le relazioni con gli altri uomini prodotte in vita,
e che continueranno a produrre effetti.

In fondo a questo mio scritto
troverete una fotografia che ha fato il giro del mondo:
medici giapponesi si inchinano
di fronte alla morte di un bambino che non hanno potuto salvare:
un gesto di deferenza alla salma, ma ancor più
un gesto di assunzione di responsabilità.

Ecco la condizione: capire la responsabilità che ci tocca
verso i morti di tutto mondo, che sono nostri morti
perché ciascuno di loro in vita ha contribuito a creare
quell’intreccio sano e guasto, umano e disumano,
con amore o con odio, in pace e in violenza,
vicino e lontano da ciascuno di noi
ma indissolubilmente legato alla nostra personale esistenza.

Rispetto, dunque, di fronte alla morte,
ma consapevolezza e responsabilità di fronte ai morti
perché nessuno possa più dire onoro e prego i miei morti,
perché anche i morti per la nostra negligenza, la nostra ignavia,
la nostra cupidigia, il nostro egoismo,
la nostra indifferenza,
ebbene si! sono i nostri morti.

I nostri morti

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