#187 - 18 marzo 2017
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarr in rete fino alla mezzanotte del 31 marzo, quando lascer il posto al numero 362. Ora MOTTI per TUTTI : - Finch ti morde un lupo, pazienza; quel che secca quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
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Togo e Benin

l’Africa di Bruce Chatwin

l’Africa di Bruce Chatwinl’Africa di Bruce Chatwin

Incuneato nell’Africa occidentale, tra Nigeria e Togo, il piccolo e povero Benin offre imprevedibili attrazioni: la regione montuosa dell’Atakora, il villaggio lacustre di Ganvie, il Parco Nazionale della Pendjari.

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E Ouidah, città di grande importanza storica e culturale, già capitale della Costa degli Schiavi nel XVII secolo.
Qui Bruce Chatwin, grande scrittore e viaggiatore britannico, ha ambientato un suo celebre libro, Il viceré di Ouidah, che racconta la tragica epopea di Francisco, alias Francisco Félix De Souza, il più crudele e potente dei negrieri.
Ancora oggi nelle case di Ouidah i suoi ritratti campeggiano assieme alle immagini delle divinità vodù (da non perdere il Voodoo Festival).

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Dopo aver visitato le fortezze della tratta e il ricco museo storico, si può percorrere la **Route des Esclaves, una strada lunga quattro chilometri che dalla città conduce alle splendide spiagge, fino alla “Porta del non Ritorno*” dove un tempo venivano imbarcati gli schiavi.
La via è oggi costeggiata di feticci, statue e alberi rigogliosi.

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Ai piedi della catena montuosa dell’Atakora, fra Togo e Benin, corre una valle solitaria dove fioriscono degli strabilianti castelli di fango: sono le abitazioni-fortezza dei popoli Tamberma e Somba.
Fino a una cinquantina di anni fa erano cacciatori-raccoglitori e andavano in giro completamente nudi (solo gli uomini usavano un astuccio penico, ricavato da una zucca allungata). Il governo li ha obbligati a vestirsi e la scarsità di selvaggina li ha costretti a trasformarsi in agricoltori.

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Non sono cambiate, invece, le loro case fortificate, note con il nome di tata, con le torrette a punta conica e le alte mura difensive, concepite per rifugiarsi in caso di pericolo; per lungo tempo hanno rappresentato un’efficace protezione dagli attacchi nemici e, alla fine del XIX secolo, dall’invasore tedesco.
Simili a piccoli castelli, le tata sono uno dei più begli esempi d’architettura tradizionale, raffinata e funzionale al tempo stesso.

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