#187 - 18 marzo 2017
AAAAAATTENZIONE - Cari lettori, questo numero rimarr in rete fino alla mezzanotte di martedi 31 dicembre quando lascer il posto al n 359 - mercoledi 1 dicembre 2025 - CORDIALI AUGURI DI BUON ANNO e BUONA LETTURA - ORA PER TUTTI un po' di HUMOUR - E' da ubriachi che si affrontano le migliori conversazioni - Una mente come la tua affascinante per il mio lavoro - sei psicologo? - No architetto, mi affascinano gli spazi vuoti. - Il mio carrozziere ha detto che fate bene ad usare WathsApp mentre guidate - Recenti studi hanno dimostrato che le donne che ingrassano vivono pi a lungo degli uomini che glielo fanno notare - al principio era il nulla...poi qualcosa andato storto - una volta ero gentile con tutti, poi sono guarito.
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Togo e Benin

l’Africa di Bruce Chatwin

l’Africa di Bruce Chatwinl’Africa di Bruce Chatwin

Incuneato nell’Africa occidentale, tra Nigeria e Togo, il piccolo e povero Benin offre imprevedibili attrazioni: la regione montuosa dell’Atakora, il villaggio lacustre di Ganvie, il Parco Nazionale della Pendjari.

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E Ouidah, città di grande importanza storica e culturale, già capitale della Costa degli Schiavi nel XVII secolo.
Qui Bruce Chatwin, grande scrittore e viaggiatore britannico, ha ambientato un suo celebre libro, Il viceré di Ouidah, che racconta la tragica epopea di Francisco, alias Francisco Félix De Souza, il più crudele e potente dei negrieri.
Ancora oggi nelle case di Ouidah i suoi ritratti campeggiano assieme alle immagini delle divinità vodù (da non perdere il Voodoo Festival).

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Dopo aver visitato le fortezze della tratta e il ricco museo storico, si può percorrere la **Route des Esclaves, una strada lunga quattro chilometri che dalla città conduce alle splendide spiagge, fino alla “Porta del non Ritorno*” dove un tempo venivano imbarcati gli schiavi.
La via è oggi costeggiata di feticci, statue e alberi rigogliosi.

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Ai piedi della catena montuosa dell’Atakora, fra Togo e Benin, corre una valle solitaria dove fioriscono degli strabilianti castelli di fango: sono le abitazioni-fortezza dei popoli Tamberma e Somba.
Fino a una cinquantina di anni fa erano cacciatori-raccoglitori e andavano in giro completamente nudi (solo gli uomini usavano un astuccio penico, ricavato da una zucca allungata). Il governo li ha obbligati a vestirsi e la scarsità di selvaggina li ha costretti a trasformarsi in agricoltori.

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Non sono cambiate, invece, le loro case fortificate, note con il nome di tata, con le torrette a punta conica e le alte mura difensive, concepite per rifugiarsi in caso di pericolo; per lungo tempo hanno rappresentato un’efficace protezione dagli attacchi nemici e, alla fine del XIX secolo, dall’invasore tedesco.
Simili a piccoli castelli, le tata sono uno dei più begli esempi d’architettura tradizionale, raffinata e funzionale al tempo stesso.

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