SciusciÃ
di Dante Fasciolo
Ci fu un tempo,
che molti di noi non hanno conosciuto
e molti altri ne hanno uno sbiadito ricordo,
in cui molti ragazzi della Napoli affamata
rincorrevano i soldati alleati
per lucidargli le scarpe per qualche spicciolo
o per una tavoletta di cioccolato o altro commestibile.
Qualcuno, ingegnoso si costruì un panchetto
e si stabilì in un angolo della cittÃ
ritenuto idoneo per un passaggio di clienti
e lì cominciò ad esercitare un vero e proprio lavoro.
Gli anni passano, l’Italia cambia,
c’è il boom economico e nuove opportunità si affacciano.
Il mestiere di sciuscià non soddisfa più nessuno,
e la metafora del film di Vittorio De Sica
in cui due sciuscià finiscono male
per aver sperato troppo: il possesso di un cavallo,
chiude una narrazione di bisogno e di speranza,
a suo modo romantica e aperta al futuro.
Il nostro vignettista Trojano, in questo giornale,
disegna uno sciuscià che lucida le scarpe a San Lucido,
il santo protettore, appunto, dei lustrascarpe
e si riferisce all’iniziativa della regione Sicilia
che ha indetto un corso per novelli sciuscià .
Apriti cielo, sberleffi e invettive…
Siamo forse tornati ai primi anni quaranta?!
L’Italia è così ridotta male?
I giovani dovranno umiliarsi a fare gli sciuscià ?
No. E’ un primo segno tangibile per rispondere
alle esigenze che la tumultuosa crescita italiana
ha lasciato cadere…fin da quando
un intero popolo di contadini lasciò la terra
e corse alla fabbrica affamata di braccia.
Fare lo sciuscià oggi non è da considerasi umiliante,
può ben significare invece l’inizio di scelte
che recuperano ciò che si è perduto nel tempo…
e tutti sanno quanti mestieri manuali
non trovano giovani leve per sopravvivere.
Per malintesa dignità , molti scelgono strade intasate,
soste annuali nelle liste di collocamento,
forse un giorno un comodo mantenimento
che promette un facile reddito di cittadinanza.