#172 - 12 novembre 2016
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 31 gennaio, quando lascerà il posto al numero 360. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Pagine Preziose

Presentato il 10 novembre presso la Galleria San Fedele - Milano
con interventi di: Giovanni Chiaramonte, fotografo; Marco Meneguzzo, critico d'arte;
Silvano Petrosino, filosofo; Emma Zanella, direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Gallarate

Eclissi

Andrea dell'Asta - Edizioni San Paolo

In che modo l’arte liturgica s’incarna nella realtà contemporanea? Questa domanda sorge con sempre maggiore insistenza, da quando l’arte ufficiale sembra avere intrapreso sentieri autonomi rispetto a quelli ecclesiali, scavando sempre più in profondità un solco che si è aperto con l’Illuminismo. Di fatto, l’arte cultualesi situa oggi ai margini dell’arte e della cultura, come se costituisse una sorta di mondo parallelo dai contorni indefiniti e sfuocati. Nel Novecento, malgrado gli accorati appelli di Paolo VI o di Giovanni Paolo II, la Chiesa si è difficilmente rivolta agli artisti del proprio tempo, come se di fronte alla contemporaneità avesse avuto paura, timore, diffidenza.

La grande arte sacra del passato ha lasciato oggi il testimone all’immagine devozionale. Di fatto, quando consideriamo l’arte liturgica contemporanea, restiamo troppo spesso delusi nel trovarci di fronte a rappresentazioni “di plasticaâ€, a pallide ombre che vorrebbero rievocare le splendide testimonianze della nostra tradizione cristiana. Immagini seriali prefabbricate, superficiali, disincarnate. Riscontriamo forme sin troppo viste, troppo stancamente ripetute, caricature di una spiritualità edulcorata e sentimentale che non mette in gioco nessuno. Tutto appare già troppo detto. Tutto sembra cadere nella banalizzazione di un Dio che non ha più nulla da dire all’uomo di oggi. Troppo spesso, poi, gli spazi ecclesiali sono violati e feriti nella loro secolare armonia. La presenza ingombrante di qualcosa d’incongruo e d’invasivo, che non riesce a integrarsi, emerge con prepotenza come una dolorosa ferita.

Tra le diverse espressioni figurative contemporanee, in un’imbarazzante mediocrità delle proposte, esiste tuttavia un comune denominatore: lo sguardo rivolto al passato. A colpire è il modo con il quale l’immagine liturgica volta le spalle al tempo presente. Che si tratti della ripresa di uno sfolgorante neo-bizantino, o di un asciutto neo-primitivismo medioevale, oppure di una brillante rivisitazione di modelli rinascimentali o di accademici stilemi barocchi, rimodulati anche nei loro aspetti più sensuali e ambigui, colpisce il modo con il quale l’immagine liturgica sembra non avere contatti con la cultura del proprio tempo. Come spiegare questo fascino per un passato così potentemente seducente? È forse un segno dell’incapacità di vivere il tempo presente? Non è questo un fatto di poco conto. Riflettere sui modelli rappresentativi della fede non significa infatti porre un problema squisitamente estetico, ma andare al cuore della vita ecclesiale, del suo rapporto col mondo. È una questione d’incarnazione.

Il testo di Andrea Dall’Asta cerca di compiere per la prima volta nel contesto italiano un’analisi dell’arte liturgica contemporanea, sia negli aspetti più problematici, sia in quelli più significativi, cercando di porre le basi per un reale dialogo tra arte liturgica e mondo di oggi.

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