Galleria Spada - Roma
Caravaggeschi a confronto
di Luigi Capano
Ci troviamo nella quarta sala della Galleria Spada, al primo piano di un cinquecentesco palazzo gentilizio, una di quelle austere e preziose tarsìe del variopinto mosaico che compone l’antica e laboriosa storia della vita capitolina. Il toponimo riconduce al Cardinale Bernardino Spada – amante delle belle arti - che, nel 1632, acquistò lo stabile e ne modificò le fattezze avvalendosi dell’opera di scultori, pittori e architetti: tra questi, Francesco Borromini.
Dal nuovo assetto sorse, ad ospitare la collezione privata del Cardinale, la galleria che oggi porta il suo nome e che offre, all’occhio intrigato del riguardante, l’armoniosa dissonanza di un’antica quadreria: i dipinti, disposti sulle pareti in file successive, modulano una ricca e disordinata varietà di soggetti e stilemi.
Nella quarta sala però, l’atmosfera è decisamente caravaggesca. Si tratta del primo appuntamento del ciclo Ospiti della Spada (dal 7 luglio al 25 settembre, Piazza Capodiferro 13, Roma), un complesso progetto promosso da Edith Gabrielli direttrice del Polo Museale del Lazio e da Adriana Capriotti direttrice della Spada, mirante a portare all’interno della galleria capolavori provenienti da importanti sedi museali italiane e straniere: ciascun appuntamento è dedicato a un prestigioso ospite che si vedrà inserito per qualche tempo in un nuovo e inatteso contesto, per un confronto dialettico e iconico con le opere residenti.
Eccoci quindi dinanzi ad un tondo di Antiveduto della Grammatica (Siena 1571-Roma 1626) - Santa Costanza con i Santi Giovanni e Paolo (1613 circa) - giunto dalla Pinacoteca di Brera e collocato in via provvisoria al posto del Compianto sul Cristo Morto di Orazio Borgianni (1615) a sua volta ospite – per vicendevole scambio - del museo milanese dove è tuttora intento a conversare con il Cristo Morto di Andrea Mantegna (1480) e con il Cristo morto con gli strumenti della passione di Annibale Carracci (1583-1585) giunto, quest’ultimo, per l’occasione, dalla Staatsgalerie di Stoccarda.
E’ lodevole e sarà senz’altro proficua – ce lo auguriamo - la volontà, che da più parti si manifesta, di distogliere le singole opere d’arte dal consueto clima storico-geografico in cui si è usi apprezzarle, per inserirle, sia pure per breve tempo, in contesti espositivi inediti.
E piace pensare che questa pregiata migrazione di immagini, alimenti un vivace e fecondo scambio di idee, stimoli una mercurialità intellettiva aperta a nuovi e imprevedibili esiti.
Nel dipinto braidense sono rappresentati, su uno sfondo nero, tre personaggi (difficile e laboriosa è stata l’identificazione del soggetto) colti in un istante di confidenziale inquietudine: Santa Costanza, figlia dell’Imperatore Costantino il Grande, in mezzo ai Santi Giovanni e Paolo, due fratelli che un tempo furono suoi schiavi. Cogliamo certe notazioni patrizie nell’immagine della Santa dal delicato volto di conio raffaellesco: in particolare la mantellina intessuta di fili d’argento che copre, ed esalta, un elegante e prezioso corpetto.
L’opera è collocata, nella quadreria, per un ideale e stimolante confronto, accanto alla Madonna col Bambino (1624 circa) di Bartolomeo Cavarozzi (Viterbo,1590 circa – Roma 1625): osservando questo dipinto si direbbe quasi che un’armoniosa, olimpica, madonna di Raffaello sia stata d’un tratto percossa da un fremito caravaggesco, da un’improvvisa lama di luce che abbia rimodellato e scolpito l’assetto fisico e psicologico della composizione. Un dramma che si svolge – secondo la sulfurea lezione del Caravaggio - dinanzi alla quinte tribolanti della notte.
Così per il citato Compianto del Borgianni, dove il fondale notturno compenetra e incide la tragica teatralità della scena. E così ancora per il tondo di Antiveduto Grammatica, protagonista dell’iniziativa odierna, dove i tre volti sembrano sospinti sulla ribalta da un tenebroso, primordiale retroscena.
Aggiungiamo una curiosità: il pittore e biografo Giovanni Baglione, racconta nel suo libro Vite de’ pittori scultori et architetti (1642) che la particolare abilità nell’arte di ritrarre fedelmente il capo dei suoi modelli valse al Grammatica il soprannome di “Gran Capocciante”.
Percorrendo e ripercorrendo la quarta sala, dedicata alla scuola caravaggesca - lo sguardo mobile sulle fitte pareti - e rammemorando, nel contempo, i quadri del maestro milanese incontrati in precedenti occasioni, si percepisce il senso di una metafisica dell’oscurità: le onnipresenti quinte notturne lungi dal configurarsi come un mero espediente tecnico per “chiudere” il quadro con uno sfondo anonimo e indifferente, alluderebbero piuttosto alla matrice stessa della creazione artistica: un indistinto spazio di forze vive da cui continuamente si genera e si alimenta quel fluttuante mondo immaginale che chiamiamo Arte.