Da Comune-Info
Lavori Umili
Esempi legati alla terra
Per una civiltà del lavoro, del diritto, della dignità dell'uomo
Di Emanuela Bambara
Umile, nell’etimologia latina, significa “legato alla terra” (da humus, terreno). In questo tempo di crisi del capitalismo finanziario, accompagnata e seguita alla crisi industriale, in cui la moneta – e in particolare la carta moneta – è un bene svalutato, il “ritorno alla terra”, all’umiltà, appare come la vera via di salvezza. Il lavoro più umile è il più dignitoso e redditizio. A partire dal primo, il lavoro della terra, appunto, quello del contadino, che coltiva i campi e alleva gli animali. L’attività dell’agricoltura ha segnato il passaggio dell’umanità dallo stato selvaggio-primitivo a quello di civilizzazione, circa diecimila anni fa.
È il lavoro più importante, perché serve a soddisfare un bisogno primario per la stessa sopravvivenza. Ed oggi sono in tanti, anche tra laureati e borghesi, a scegliere il ritorno al lavoro della terra come rifugio da una società tecnologizzata sempre più insana e povera, economicamente e spiritualmente. Mattia Di Nicolò, Yuri Marchionni e Valerio Pierantozzi, per esempio. Tre amici trentenni, che hanno lasciato le loro occupazioni – chi da precario, chi con maggiore stabilità – per creare insieme un’azienda agricola biologica e che rispetta la biodiversità.
Da una indagine della Coldiretti risulta che sono oltre 70mila i giovani che tornano all’agricoltura.
C’è, però, l’altra faccia del pianeta, che, in Italia, ha i colori dell’horror. Per molti braccianti, soprattutto immigrati, donne e minori, il lavoro della terra è una schiavitù. Sono gli “invisibili” al mondo e alla dignità: senza un contratto o con buste paga false, faticano oltre 14 ore al giorno, per meno di 3 euro l’ora, spesso senza accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, in condizioni di sicurezza ad alto rischio per la salute e per la stessa vita. Alcuni sono perfino obbligati a drogarsi, per sostenere il peso di tante giornate da zombie di umanità. In Calabria, in Puglia, in Campania, gli schiavi della terra sono oltre 100mila. Perlopiù, è un commercio gestito dalla malavita locale. Nel silenzio delle istituzioni, al buio delle forze dell’ordine e dei media. In altri Paesi sviluppati, invece, lavorare la terra vuol dire una prospettiva di ricchezza, non soltanto per il “padrone”. In Svizzera si offrono anche 3mila euro al mese agli aspiranti agricoltori.
Lavorare l’orto è anche un’esperienza di pace. È un apprendimento a prendersi cura, di una pianta e di un animale, dalla semina e dalla nascita per tutti gli stadi di sviluppo. È un’educazione alla responsabilità, alla stabilità, all’amore, all’armonia, alla pace. Don Tonino Guerra invitava a “riempire di stupore la fantasia dei ragazzi con lo spuntare di una foglia e il lento apparire di un colore sul pomodoro”. È il lavoro umile dell’insegnante, che “coltiva” gli allievi proprio come orticelli, seguendo e impartendo regole di buona convivenza con l’attenzione e il rispetto per la personalità libera e originale di ciascuno. I “semi” di un buon insegnante, di conoscenze e di sapèri, ma anche, di virtù umane e civili, di addestramento ad “essere cittadini del mondo”, fanno crescere la “pianta” della persona adulta, rendendolo un bravo lavoratore di umanità.
Anche l’artista lavora la terra. Lo scultore modella l’argilla, la cera, il gesso, il ferro, il bronzo, intaglia il legno, la pietra, il marmo, il pittore disegna e compone e usa i colori, per creare forme nuove di vita nelle sue opere, sull’esempio della natura o inventando regole di composizione, trovando un senso nuovo nella realtà. Così – spiega il filosofo Immanuel Kant, ne “La Critica del Giudizio” – il genio umile dell’artista, che lavora tra razionalità e immaginazione, produce bellezza. Eppure, l’arte è considerata come una delle attività dell’uomo più “elevate” culturalmente, insieme alle attività intellettuali.
Per i Greci, sette muse sovraintendevano alle sette aree di eccellenza della creatività umana: poesia, storia, canto, musica, tragedia, preghiera, teatro, danza, astronomia e geometria. E quella dell’artista è anche una “carriera”. Esistono portali di offerta e di ricerca di lavoro specializzati (come artjob) e c’è un Sindacato nazionale degli artisti (Asnai), un Albo e tante associazioni. Mentre cresce il numero dei cosiddetti “artisti di strada”. In Italia, sarebbero almeno 10mila, tra giocolieri, funamboli, acrobati, mimi, danzatori e cantanti. Solo a Roma e Milano, in oltre 3mila si sono iscritti nei registri comunali.
L’arte edile è un modo di lavorare la terra e trasformarla all’uso dell’uomo. Il muratore “prende le misure” e con scalpelli, spatole e cazzuole, con piccone, badile e martello, costruisce le case e le abbellisce. Così l’architetto e l’ingegnere, organizzano lo spazio dotandolo degli strumenti tecnici utili a soddisfare le necessità biologiche dell’essere umano, di sicurezza e di bellezza.
Umile vuol dire anche “con i piedi per terra” (da ilìum, osso iliaco). Un lavoro umile è, insomma, un lavoro concreto, “utile”. Schiena dritta e piedi bene a terra hanno, per esempio, medici e infermieri, ma anche poliziotti e carabinieri. Chi, cioè, mette a disposizione il suo tempo, le proprie capacità e competenze per aiutare l’umanità a stare bene, sono a servizio della salute e del benessere del corpo personale e sociale.
Nell’uso comune, il termine umile indica chi “sta a terra”, in basso, nella gerarchia sociale. Il cameriere e il collaboratore domestico, per esempio, eseguono compiti operativi su ordine di qualcuno. Ma, come ben evidenziava il filosofo Hegel nella “Fenomenologia dello Spirito”, chi dipende dall’altro, tra il servo e il padrone, è quest’ultimo. Il signore è il vero schiavo, perché dipende dal lavoro dell’altro. Dunque, chi sta realmente “in basso” è chi gerarchicamente – e spesso economicamente – occupa una posizione più elevata.
Grande è il lavoro che viene svolto con umiltà, con amore per la vita, per il mondo e per se stessi. Ci sono, poi, purtroppo, lavori umiliati e lavori umilianti. I primi, sono quelli ai quali non è riconosciuta la giusta dignità, il meritato compenso e il doveroso merito del loro vero valore per la realizzazione della persona umana e la crescita nei principi di umanità. I secondi, sono quelli che offendono la dignità della persona, e non possono neppure essere definiti tali. Il lavoro, infatti, è un’attività che implica l’impiego di energie e risorse per il raggiungimento di un fine che, comunque, deve consistere in un servizio utile alla società, per il quale si ottiene un compenso adeguato all’autonoma e dignitosa esistenza. Ogni altra condizione è uno schiaffo alla civiltà del lavoro, del diritto, dell’uomo.