Galleria Pio Monti - Roma
Changeables di Teresa Iaria
di Luigi Capano
Qualche riflessione a margine della recente mostra “Changeables” di Teresa Iaria a Piazza Mattei (Galleria Pio Monti, Roma). L’artista – apprendiamo - è docente all’Accademia di Brera, così come la curatrice Laura Cherubini.
Entriamo nella piccola galleria che timidamente sorride alla movimentata Fontana delle Tartarughe, dove, con raffinata irruenza cinetica, ogni dettaglio pare abbia voglia di invadere tutto lo spazio circostante. E’questa capricciosa sineddoche, occasione di fascino e di meraviglia anche per il frettoloso passante aduso alla variopinta magia delle atmosfere romane.
In un tiepido pomeriggio di ottobre, un inesplicabile gioco catottrico ha condotto il mio sguardo dalle cinquecentesche conchiglie in marmor chium nel centro della piazza, fino alla scultura valviforme realizzata in argilla e posta nel mezzo della sala espositiva: un’anamorfosi forse più fantasiosamente intuita che realmente cercata, ma che, nel baleno di un’immagine, riesce ad accostare con fanciullesca incoscienza esperienze artistiche così distanti… Alle pareti e al soffitto, gli acrilici in esposizione soffondono nell’ambiente un avvolgente clima di sogno: cromatismi magmatici dove concrescono confuse entità zoomorfiche e dove il momento dinamico del processo ideativo appare marcato dalla indicazione vettoriale delle linee di forza.
L’artista - ho curiosato con pazienza entomologica nel suo sito internet (www.teresaiaria.com) – è fortemente attratta dall’episteme quanto-relativistica e il tentativo costante di riversare nell’arte le sue curiosità scientifiche, porge – credo - un’utile chiave di lettura della sua ricerca estetica. Una ricerca però che non trascura di prestare occhio - sembrerebbe - ai sentieri pressoché dimenticati della morfogenesi goethiana. Ma, vittima di un ulteriore cortocircuito spazio-temporale, il pensiero mi corre all’espressionismo astratto dei nativi australiani che tuttora ci consegnano in immagini simboliche la memoria ancestrale del dreamtime, il tempo del sogno, il tempo della creazione del mondo, misteriosamente attinto da una lucida visione onirica. Così gli spazi vettoriali di Teresa Iaria ci parlano anche di antiche vicende cosmogoniche impigliate però nel reticolo algebrico della modernità.