Sia lode a
Lo chiamavano Jeeg Robot
Il diario finale dalla Festa del Cinema di Roma,
con lode all’Italia grazie al film di Gabriele Mainetti
di Giada Gentili
Le luci alla Festa del Cinema di Roma si sono spente, qualcuno dice non si siano mai accese, altri lodano la qualità in sala, ma qualche fotografo storce il naso perché fuori, sul red carpet, hanno sfilato così poche star che tanto valeva appostarsi fuori Cinecittà per qualche ora in un giorno a caso. Il livello delle opere comunque, bisogna ammetterlo, era tutt’altro che scadente, una Festa alla fine (questo il nome originale dell’evento romano creato da Veltroni) per qualunque gusto. I primi giorni per la sottoscritta sono stati una maratona all’intervista, il red carpet, le conferenze; ho visto così pochi film che mi è venuta una crisi neanche troppo mistica sulla mia identità giornalistica. Il Festival si è aperto al terzo giorno con Closet Monster, film indipendente della sezione Alice nella Città , una martellata sullo stomaco che ha tentato di raccontare l’accettazione dell’omosessualità dal punto di vista di un adolescente. Non lo vedrete probabilmente mai al cinema ma con l’arrivo di Netflix in Italia (quando verrà aggiornato il benedetto catalogo film in cui non c’è neanche E.T, per dire) potrete recuperarlo e accorgevi di come non serva macchiettizzare i gay per raccontare dei loro drammi nella nostra società .
Sulla stessa linea ho assistito alla proiezione di Freeheld, uscirà il 5 novembre in Italia, e a parte apprezzare la bravura ormai conclamata di Julianne Moore, non è che m’abbia convinto sia valsa la pena svegliarmi alle 7 per filare alla proiezione. La levataccia peggiore però l’ha vinta Alaska, un’accozzaglia di storia d’amore con Elio Germano e Astrid Bergès-Frisbey. Lui per carità , sta una spanna sopra la media degli attori nostrani, però ormai è come Morgan Freeman in America, ce lo ritroviamo dappertutto, pure al bagno (faceva la fila come me il giorno della presentazione e se guardate bene potrei scommettere capiterà anche a voi); i due personaggi si innamorano a Parigi e poi la sfiga passa da uno all’altro per tutto il film mentre tentano di vivere il loro idillìo che comunque non si capisce mai come sia scoccato.
The Walk segue la strada di cui sopra, la storia del funambolo che camminò su una corda tesa tra le torri gemelle appena costruite era un punto di partenza così entusiasmante che il film sembra ridimensioni il tutto, anche se la passeggiata fa quasi venire le vertigini. Il vero Philippe Pétit ha inoltre tenuto una conferenza così coinvolgente all'Auditorium che per poco non ci convinceva tutti a correre su una corda tesa tra le colonne di Piazza San Pietro: quando la realtà supera, in bellezza, l'immaginazione cinematografica. Tirando le somme, e un sospiro di sollievo perché tanto, pure con un programma scarno sempre 4 ore a notte si dorme durante i festival, la lode se la prende Lo chiamavano Jeeg Robot, un piccolo gioiello italianissimo intriso di dramma e punte di ironia con una geniale sceneggiatura; un coro di attori perfettamente equilibrato- che nulla ha da invidiare ai colleghi hollywoodiani - consapevolezza del ritmo, dell’azione e una gran dose di romanità , non quella finta de La grande Bellezza, né quella troppo nera di Suburra. Questo è stato il suo Festival e non per la poca concorrenza, sia chiaro.