"Una cosa bella è una gioia per sempre" John Keats
Pordenone
Museo del Vajont.
Monito a futura memoria
di Alessandro Gentili
La storia del sacro fiume della Patria non si racconta solo attraverso le battaglie del novembre e dicembre 1917....
La tragedia del Vajont è molto conosciuta per la sua dinamica ma soprattutto per le sue origini e responsabilità , nonché per le devastanti conseguenze umane e sociali che ha generato.
Una mostra temporanea è stata sostituita dal 2009 da una più strutturata esposizione di fotografie e oggetti all'interno di alcune sale del Centro Culturale di Longarone, con l'obiettivo principale di essere monito ed insegnamento per le generazioni.
Un imponente pannello fotografico della vista della frana, della diga e della spianata del giorno dopo, completato da una iscrizione, introduce il visitatore all'esposizione museale, fortemente caratterizzata dal fondale architettonico che si pone quale elemento principale di raccordo e racconto: una serie di 1910 lamelle ritorte grigie, tante quante furono le vittime, che si intervallano ad altre diritte bianche a simboleggiare i bambini mai nati e che al termine del percorso lasciano spazio ad alcune altre doppiamente ritorte di colore verde le quali simboleggiano il dolore dei superstiti ma anche la loro doverosa speranza dopo essersi salvati da quella disastrosa ondata.
Il museo si sviluppa secondo un’organizzazione cronologica e vede il proprio avvio con la storia della Longarone prima della tragedia spiegata attraverso planimetrie e fotografie delle vie, della piazza, delle case, di fabbriche e negozi, ma anche di momenti di vita familiare, sociale e politica.
Nella sezione successiva l'attenzione si sposta su analisi tecnico-geologica e di geografia economica dell’area longaronese precedenti la realizzazione della grande diga, con un plastico molto preciso relativo alla pianificazione territoriale teoricamente strutturata alla fine degli anni Cinquanta.
Simboleggiante la diga e la notte del 9 ottobre 1963, una parete grigia e a doppia curva funge da ingresso ad un tunnel buio che fa da diaframma tra l’ante e il post tragedia, alla quale è ovviamente dedicata tutta la prosecuzione della esposizione: pochi oggetti e molte immagini dei giorni successivi - tra le quali numerose fotografie e riproduzioni dei titoli dei quotidiani – vogliono rendere e mostrare gli effetti dell’immane ondata d’acqua e del vento, i celeri ed efficaci soccorsi, la solidarietà , il dolore della popolazione superstite unita alla rabbia e allo sdegno popolari, il dibattito politico e giudiziario. Infine la ricostruzione fisica, morale e sociale di un paese.
La sezione finale del circuito è un chiaro invito alla riflessione su tutte le catastrofi analoghe a quella del Vajont, causate dall’inettitudine umana e dalla superiore forza della natura. Oltre allo spazio dove poter lasciare un proprio pensiero scritto, si trova una interessante postazione dedicata ai bambini i quali possono sedersi ad un tavolo e, guardando la valle e la diga attraverso una grande finestra, donare al Museo il proprio punto di vista su quelle che sono state le loro impressioni e sensazioni esperite durante la visita.
Il percorso termina con il lungo elenco a video delle vittime del Vajont, affiancato ad una frase della giornalista Tina Merlin che due giorni dopo la tragedia invita alla riflessione e alla reazione, finalizzate a comprendere l’insegnamento che proveniva da questo tragico evento.
Questo museo non trasmette nessuna "cosa bella o gioia per sempre"....