Geometrie sacre
Dalla mostra "Yantra Mandala" di Stefania Venezia
nell’alveo di un’antica tradizione sapienziale
di Luigi Capano
Nell’oceano del web mi piace avventurarmi con rilassata negligenza, senza bussola né riferimenti astrali, lasciandomi portare dalle mille correnti della rete, caoticamente.
Il miraggio di un’intuizione, il solletico di un ricordo, la curiosità di uno stimolo qualsiasi, sono il mio timone e la mia elica.
Durante uno di questi viaggi da naufrago in pantofole mi imbatto nel sito della pittrice Stefania Venezia (www.stefaniavenezia.com): il clima è orientale, direi indo-tibetano. Yantra Mandala, così l’artista chiama le proprie opere.
Circa un’anno fa ho partecipato all’inaugurazione di una sua mostra in una piccola galleria d’arte, a due passi dal Colosseo. La sala affollata e le bianche pareti sparse dei suoi acrilici, variopinti e traslucidi. Yantra Mandala: l’etimologia è sanscrita, dunque indoeuropea. Mandala, come il latino mundus, allude a qualcosa di racchiuso, contenuto, confinato. Respirano la medesima atmosfera semantica – riteniamo - il greco metron (misura) e ancora il sanscrito manas (mente). L’altro termine della diade, yantra contiene invece una radice assai nota ai cultori del buddhismo e dello yoga (la stessa che in mahayana e pranayana, per intenderci): indica mezzo, veicolo, quindi strumento.
Se si presta attenzione al significato riposto e alla struttura dei vocaboli, traluce una scienza delle parole con cui sembra si sia persa la consuetudine. Anche le parole sanno sollecitare i sensi ed è un vero peccato non apprezzarne il sapore e l’antica bellezza. Aggiungiamo che, per meglio conoscere l’humus spirituale da cui provengono questi artistici strumenti meditativi, si rimanda alle dotte trattazioni di Giuseppe Tucci (Teoria e pratica del mandala) e di Grazia Marchianò (La parola e la forma*).
La ricerca pittorica di Stefania Venezia scorre dunque nell’alveo di un’antica tradizione sapienziale che ha portato nelle contrade d’occidente, anche grazie allo studio operoso di alcuni avveduti artisti, i suoi simboli vitali. Questi, nel loro aspetto microcosmico sono stati introdotti già da C. G. Jung come valido strumento della pratica psicoterapeutica.
Poiché il mandala, secondo la brillante definizione di Tucci, è uno “psicocosmogramma” essendo in grado, se impiegato con sapienza, di connettere la turbolenta interiorità dell’uomo all’avvolgente macrocosmo che viene simbolicamente assimilato ad un palazzo regale, di cui il mandala con i suoi colori mai casuali, le sue astratte geometrie (yantra), le sue forme molteplici ma ordinate, ne è la proiezione bidimensionale.
Siamo grati quindi a Stefania Venezia, per aver portato la nostra attenzione su queste preziose immagini, mediate a attualizzate dalla sua personale visione pittorica.