Sequela di Fotografie di un reportage dai luoghi sacri dell'Armenia
Elio Ciol: omaggio ai credenti armeni
Gli adoratori della croce
Un raffinato percorso fotografico,
attraverso i paesaggi, la cultura, le pietre dell’Armenia
e i suoi straordinari simboli cristiani.
di † Georges Cottier, 0p
(Noravank, Khatchkar di fronte alla cappella di S. Astvatzatzin.)
Il reportage di Elio Ciol colpisce per la sua bellezza. Una sequenza suggestiva di fotografie permette di avvicinarsi alla cultura armena da noi poco conosciuta.
Due massi imponenti di pietra si stagliano su un campo desertico a testimonianza del tempo passato. Una chiesa attaccata ad un monastero dalle possenti mura riceve la sua unità da un campanile che la proietta verso l’alto. La porta di pietra posta sotto il campanile reca nella parte più alta una croce cesellata nella pietra. Non si tratta di semplici affreschi eseguiti con virtuosità. La croce posta al centro indica che siamo in presenza di un luogo sacro. Le altre chiese sono sullo stesso stile.
Quale può essere la relazione di queste croci con i crocifissi che siamo abituati a vedere? La storia delle espressioni liturgiche e artistiche della devozione al mistero della croce ci mettono sulla via della risposta. Quello che si vede in Armenia non è un’eccezione.
(*Khor Virap. Il monastero e il monte Ararat*)
Fin dall’inizio il mistero pasquale è riconosciuto come mistero centrale della fede cristiana. Ma un lungo periodo di tempo fu necessario prima di accedere ad una rappresentazione integrale del mistero. Due sono i motivi che lo spiegano. Il primo è il bisogno di scoprire la profondità del mistero, al di là delle apparenze.
Il secondo è la reazione di ripugnanza che suscitano queste stesse apparenze nell’opinione generale.
I Romani avevano ricevuto la tradizione di questo supplizio particolarmente infamante dai Cartaginesi. Esso era inflitto agli schiavi o ai fautori di gravi disturbi sociali, come strumento di repressione specialmente efficace. Era riservato ad una parte della popolazione priva dei diritti concessi unicamente agli uomini liberi. La sofferenza inflitta era accompagnata dal disprezzo della vittima considerata come “infra-umana”.
La stessa parola croce, secondo Cicerone, non doveva essere nemmeno pronunciata da un uomo di bene. Allo stesso modo la morte di Cristo sulla croce, ottenuta dai suoi avversari sotto Ponzio Pilato, doveva servire a cancellare definitivamente la sua memoria dalla storia, in quanto tale morte era propria di un essere al quale non era riconosciuta l’umanità.
Due sono le espressioni che fanno intravedere la profondità del mistero della fede: «scandalo della croce» (ma anche: follia, debolezza) e «sapienza (o potenza) della croce».
La croce di Cristo mistero di fede era il cuore della vita e della predicazione di san Paolo. Quando affermava di non essere più se stesso, bensì che Cristo viveva in lui, confessava la sua partecipazione alla passione e alla morte di Cristo.
Davanti alle autorità romane, quando i suoi avversari richiesero la sua condanna quale fautore di disordine sociale, in sua difesa Paolo fece invece valere la sua qualità di cittadino romano e il suo diritto a essere giudicato da un tribunale imperiale. Certamente non ignorava la possibilità del martirio. Ma il ricorso a Cesare avrebbe impedito il supplizio della croce, il supplizio del suo Maestro al quale egli era sempre unito spiritualmente e misticamente. Ciò era coerente con la sua coscienza di apostolo. Una condanna ufficiale come discepolo di Cristo era una forma di testimonianza e, al contempo, di predicazione. La morte sulla croce avrebbe attestato la sua nullità e reso i suoi discorsi insignificanti.
(*Geghard. Pareti interne della cappella rupestre*)
L’inno ai Filippesi (2,6-11) ricorre alla forte parola kenosis, che significa «svuotare se stesso», per esprimere il mistero della stoltezza della croce come attestazione della sapienza divina. I primi Padri della Chiesa hanno subito riconosciuto in tale paradosso il cuore del mistero della redenzione, e fanno uso di analogie delle quali la Sacra Scrittura stessa è ricca. Così, san Ireneo scriveva che Dio distrusse la cambiale del nostro debito, fissandola alla croce, «affinché, come per causa di un albero divenimmo debitori a Dio, per mezzo di un albero ricevessimo il condono del nostro debito». E in maniera più esplicita, Ippolito di Roma scrive: «La croce è l’albero della mia salvezza eterna, di esso mi nutro, di esso mi diletto. Nei suoi rami mi distendo, la sua rugiada mi rallegra e lo Spirito come carezza mi feconda».
La Bibbia offre una simbologia quasi inesauribile sul tema del legno in relazione con l’acqua fonte di vita. S’inizia con il racconto dell’Eden e del peccato dei nostri progenitori, con l’albero della vita e quello del bene e del male. Siamo così introdotti all’origine e al dramma della storia. In antitesi, Cristo è il nuovo Adamo all’origine della nuova creazione. Alla figura di Eva corrisponde la figura di Maria. Un altro simbolo è quello dell’arca di Noè, l’arca della salvezza. Un’altra figura è il bastone di Mosè e il suo potere.
I profeti Osea ed Ezechiele spiegano le sofferenze e le miserie del popolo come punizione della sua infedeltà. Ma il castigo non è definitivo e il popolo è chiamato alla conversione, perché Dio è fedele e ama perdonare. I diversi simboli della sua misericordia - la fecondità della terra e dei greggi, l’abbondante acqua che nutre le foglie, i fiori, gli alberi - sono il segno del dono della vita da parte del Signore. Il simbolo percorre tutta la Scrittura fino all’Apocalisse.
Tutto questo ricorrere a simboli della vita e del dono gratuito dell’amore divino, raffigurati con il legno e con l’albero, converge per aprire la fede all’intelligenza della croce.
Gli storici hanno riconosciuto che la più antica rappresentazione della Crocifissione di Gesù si trova su una porta di legno nella Basilica di Santa Sabina a Roma (V secolo). La figura del Signore è frontale ed eretta, non come sarà nel Medio Evo, inficiata dalla sofferenza corporale. Il motivo di tale rappresentazione è dottrinale e rimanda direttamente ai testi del Nuovo Testamento: san Paolo, il Vangelo di Giovanni, l’Epistola agli Ebrei. La croce diventa talamo, trono, altare, Parola e sapienza. Cristo è Sposo della Chiesa e grande sacerdote, è re dell’universo che attira tutti a sé. Il pensiero liturgico e teologico porta l’intelligenza nel cuore del mistero della fede che, successivamente, si aprirà alla rappresentazione dell’umanità di Cristo sofferente.
Motivi storici, politici e religiosi spiegano probabilmente perché l’arte cristiana armena non ha conosciuto la medesima evoluzione.
Mi auguro che degli studiosi di arte liturgica armena continuino a soffermarsi sulla ricchezza di queste bellissime croci cesellate, simbolo sacro.
(Dal testo del catalogo)