#117 - 26 gennaio 2015
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Cinema

"Il nome del figlio"

di Giada Gentili

La prima definizione che viene in mente appena terminato “Il nome del figlioâ€, la nuova opera della regista Francesca Archibugi,è "Il carnage all’italiana", il film di Roman Polanski ambientato al 90% in una casa, con quattro (meravigliosi) protagonisti e una costruzione del pathos degna di nota. Ma “Il nome del figlioâ€, del film del regista polacco, riprende solamente l’unica ambientazione e la coralità dei personaggi. La commedia è tratta da una piece teatrale francese, i nostri cugini d’oltralpe ne avevano già ricavato una pellicola “Cena tra amiciâ€, e la Archibugi con lo sceneggiatore Francesco Piccolo hanno reso il tutto a misura di Stivale. I coniugi Sandro (Luigi Lo Cascio) e Betta (Valeria Golino) invitano a cena il figlio-di-papà Paolo, fratello di Betta, e sua moglie Simona, interpretata da una Micaela Ramazzotti sempre cotta a puntino. A completare il quadro familiare Claudio, un Rocco Papaleo che stavolta non esagera nei vezzi, nonostante interpreti un (quasi) omosessuale.

Il mix di ingredienti è calibrato e l’input per dare avvio alla serata arriva da Paolo che a casa della sorella remissiva e il marito comunista/radical-chic, da la notiziona della serata: lui e la moglie chiameranno il figlio Benito. Un affronto alla memoria del padre per Betta, all'Italia e la politica per Sandro, uno scherzo di pessimo gusto per Claudio. Il nome del figlio da vita a una serie di incomprensioni, sfoghi e confessioni che non starò qui a sciorinarvi, vi basti sapere che viene servita in tavola una buona commedia italiana, finalmente girata con arguzia, senza la pretesa di grandi tecnicismi in termini di regia, ma comunque alla ricerca di una certa qualità visiva e ben interpretata.

Nonostante il buon lavoro dell’intero cast, le vecchie dicotomie: destra-sinistra, ragazzetta bella e scema (la Ramazzotti che poi comunque si rivela la meno scema di tutti) contro la profondità dei (finti) intellettuali moderni, ricco contro povero, vengono riproposte qui come in un centinaio di altri film italiani degli ultimi 20 anni. Ciò che bisogna riconoscere è la capacità di averli saputi confezionare con una carta originale e interessante, quantomeno per darci l'illusione che ci stessero dicendo qualcosa di nuovo.

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