Nelle campagne di Vernole, nel Salento, con un impianto tipicamente rinascimentale,
vanta una delle fortificazioni più imponenti di tutto il Meridione
Acaya
Il borgo ideale costruito dall’ingegnere di Carlo V
di Marino Pagano
Un borgo che è più che un borgo. Un sogno utopico e un’idea perfettamente rinascimentale, tra ingegno e cultura. È quel che si trova nel Salento di Vernole, nella frazione di Acaya, tra i più importanti esempi di realtà fortificata cinquecentesca.
Siamo ad appena cinque chilometri dal mare, leggermente all’interno, dove la rinfrancante aria verde ben si coniuga all’atmosfera più propriamente marina.
Acaya, nota nel medioevo come Segine, ha oggi 450 abitanti ma ieri fu importante e strategica. Cambiò nome, nel 1535, in onore di Gian Giacomo dell’Acaya, diretto “regio ingegnere militare” di Carlo V. Data a fine ‘200 il passaggio agli Acaya, famiglia francese con probabili ascendenze greche.
Se i primi esponenti del casato abbellirono il centro di chiese, con Gian Giacom parte l’epopea che fa di Acaya una meta imprescindibile di viaggio e conoscenza.
Qui il Cinquecento parla ancora, racconta questa dimensione di pensiero illuminata. Ecco la perfetta cinta muraria, fascinoso colpo d’occhio. Pietra che dice una storia che qui, cinque secoli fa, nel profondo Mezzogiorno, qualcuno volle grande. Alfonso, padre di Gian Giacomo, fece erigere il castello ma poi suo figlio lo munì di strategici bastioni, baluardi e del fossato.
Il tutto dona lo spazio di una rivendicazione gentile, un’imperiosa eleganza, discreta e raffinata, non ostentata. Vuoi anche per le caratteristiche del territorio, non il classico castello arroccato dei borghi medievali, piuttosto la dimora principesca che dovesse squadernare con armonia un pensiero “alto”. Dopo gli Acaya, inesorabile la decadenza. Negli ultimi tempi, la felice riscoperta.
Ma perché fu “utopia” quella di Gian Giacomo? Egli volle qui la città ideale rinascimentale. La città perfetta ed armonica, in scala rispetto a centri più grandi, ma che comunicasse questo “disegno”. Gian Giacomo fu il perfetto ingegnere del secolo, fedele all’imperatore. A lui si devono le mura di Lecce; il castello di Crotone, intitolato a Carlo V; la fortezza di Amantea, in Calabria; la realizzazione finale di Castel Sant’Elmo a Napoli.
Ad Acaya la bellezza di una costruzione “alla moderna”, un quadrilatero con ai vertici i bastioni, muniti di cannoniere. Particolare, a sud-est, il baluardo a lancia, qui pensato per la prima volta per la cosiddetta “difesa radente”. E che dire degli speroni triangolari, scenografici ed utili ad eludere attacchi da armi da fuoco? Un castello impreziosito anche da fregi artistici (sala ennagonale, torre di nord-est). E che reca ancora la sua data di fondazione: 1536.
Sono passati cinque secoli, ma la storia di questa cittadina voluta da una mente perfettamente inserita nella stimolante temperie del suo tempo ci parla ancora. E ci di dice modernità, cultura, eleganza. Il castello è oggi sede di mostre archeologiche permanenti e di arte contemporanea. Un castello vivo ancora oggi perché vivo e brillante fu il pensiero di chi lo volle.