Di diverse dimensioni e funzioni, sono un centinaio gli antri scavati nella roccia del centro,
vicino Vibo Valentia, memoria storica e antropologica del profondo Sud
Le grotte di Zungri
l’eco di un mondo passato
di
Marino Pagano
Si fa un gran parlare della bellezza antica della meravigliosa città di Matera, capitale europea della Cultura per il 2019. Una città straordinariamente scolpita nella pietra. Ma quella del Sud, del Mezzogiorno d’Italia, è stata spesso una civiltà che la pietra ha dovuto scavare in profondità, alla ricerca di una casa, di un piccolo luogo di ricovero e di minima serenità. Una civiltà talvolta anche mossa da attitudini di ricerca spirituale.
Tutto ciò esiste in Calabria, in diverse zone: emblematico è però il caso di Zungri, centro del vibonese, da qualche tempo noto, per l’appunto, con l’appellativo di “Matera calabrese”.
Non lontana dalla zona marina di Briatico e Tropea, Zungri ha tutto del vecchio villaggio rupestre. L’età è prettamente medievale, presumibilmente bizantina: ottimo lo stato di conservazione delle grotte, parte principale dell’originario insediamento. Una zona di Zungri, questa, che si vive e conosce abbandonando il centro del paese nuovo. Subito, ai suoi margini, ecco i “Fossi”: così è chiamato, già dal XVI secolo, l’atavico rione rupestre, del resto abitato fino a non tantissimi anni fa.
Percorsi raffinati, la mano sagace dell’uomo: così è nata questa realtà, persino invidiabile dal punto di vista, per così dire, urbanistico. A Zungri tutto ciò è ancora ben visibile, anche grazie all’impegno della Proloco, recentemente riorganizzatasi e con nuova sede.
Altro invidiabile merito di queste antiche realtà abitative: l’uomo qui ha saputo incontrare realmente la natura, l’armonia la fa da padrona, nel rispetto della morfologia del luogo. È nostra guida espertissima l’archeologo Francesco Cuteri, invidiabile conoscitore di tantissimi angoli di Calabria, terra che ama e della cui storia è studioso a livello scientifico (ingente la sua personale bibliografia).
Tante le notizie di cui veniamo a conoscenza grazie a lui. Ci accompagna e noi, grati, lo ascoltiamo. “Qui i nostri antenati, forse più che altrove, hanno saputo con ingegno misurarsi costantemente con l’ambiente - spiega Cuteri - ponderando, con grande esperienza, ogni attività. Così, tutto trova la giusta collocazione e ogni elemento, dalle strade alle abitazioni fino ai pozzi e alle fontane o alle vasche per la conservazione del grano o dell’olio, appare realizzato con rispetto”.
Credeteci, a Zungri bisogna andarci. Le stesse parole di Cuteri hanno senso se vissute, calcate attraverso una visita diretta.
Qui potrebbero apparire persino insufficienti, considerato lo stupore che nasce nel girare fisicamente attorno a tanta storia. Ecco che quindi questo pezzo cerca di infondere curiosità, provando a dettare il valore di un itinerario per noi imperdibile se si vuole realmente cogliere un aspetto importante di storia della Calabria. Circa un centinaio le grotte, di diverse dimensioni, tutte costruite sul costone affacciato sulla fiumana Malopera.
Alcune di queste sono su due piani, con le necessità del quotidiano per chi le ha abitate. Le case in grotta, a forma ora circolare ora quadrata, sono contraddistinte da spazi ricavati nelle pareti, vere nicchie per custodire sostanze o magari per sistemare i letti.
Per questi luoghi antropici così straordinari, per tanto tempo, si è temuto l’abbandono: negli ultimi tempi, finalmente, ecco un progetto di recupero conservativo, a cura del Comune di Zungri. Strutture così esistono anche in altri comuni.
Ci riferiamo a tutta l’area del monte Poro, da Nicotera a Pizzo Calabro, sempre provincia di Vibo Valentia. Diverse le tipologie insediative: dal villaggio vero e proprio di Zungri alle grotte forse meno ordinate ma non meno belle di Tropea, Briatico, Ionadi o Castelmonardo (l’attuale Filadelfia) fino ad altri piccoli nuclei o addirittura ad unità isolate.
Che dire poi delle grotte-oratorio o di quelle utilizzate propriamente per la vita eremitica? Un riferimento su tutte, quelle legate al santo mistico Elia lo Speleota (X secolo), a Melicuccà, questa volta nel reggino.
La grotta, questa sconosciuta nei nostri tempi moderni. Eppure, “qui a Zungri era la regola abitativa e ancora oggi è possibile cogliere tutta la complessità e la raffinatezza del vivere in grotta. Ci troviamo, infatti, in un ambiente antropizzato dove niente è stato lasciato al caso e dove sono ancora evidenti i risultati della mano umana. Si pensi all’arenaria, pietra che permette, da buon isolante, frescura d’estate e temperature miti d’inverno”, fa notare ancora Cuteri. Qualche riferimento preciso per i luoghi di Zungri: ecco il complesso degli Sbariati (voluto dai monaci medievali), poi quello di Nicopoli, con strutture rimaneggiate e risalenti al basso Medioevo e infine l’importante ipogeo di Papaglioni, di età romano-imperiale, forse la cisterna o il ninfeo di una villa. Grotte dalla forte rilevanza anche legata all’ingegneria idraulica, come si vede.
Zungri, inoltre, già dal suo nome, potrebbe forse voler dire “roccia”. Una macchia mediterranea molto fitta, poi, affianca le grotte. Qui si respira, insomma, il lascito di quel mondo rurale che per secoli ha caratterizzato l’economia di queste terre. Il “passo” di quella civiltà è tutto in queste grotte.
Un fatto non solo archeologico, storico, artistico, idraulico. Qui riposa per davvero il senso di una tappa significativa del cammino, per così dire, anche “sociologico” fatto da queste popolazioni, una testimonianza di un mondo che non c’è più. A Zungri l’ultimo segno dell’uomo che, per costruire i suoi spazi, scavava la pietra e la terra. Raccogliendosi accanto alla natura.
Successivamente, pian piano, l’umanità preferirà edificare sempre più verso l’alto: indice, da un lato, di un nuovo ingegno, dall’altro, forse, di una “volontà di potenza”, questa volta meno in sintonia con l’ambiente circostante.